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Inchiesta Gruppi Provincia: Pino Raffele a rischio processo, archiviazione per Bruno Rosi

Indagini chiuse relativamente all’inchiesta concernente la concessione di un totale di circa 100 mila euro ai gruppi consiliari della Provincia di Vibo Valentia. Lo riporta il quotidianoweb.it.

Nel mirino della magistratura erano originariamente finiti in 33 con accuse che andavano dal falso al peculato. L’emissione del provvedimento da parte del pm Michele Sirgiovanni lascia ora intravedere la richiesta di rinvio a giudizio per 8 soggetti. Sotto la lente d’ingrandimento restano le posizioni dell’ex presidente della giunta Francesco De Nisi, dell’ex presidente del consiglio provinciale Giuseppe Barilaro, degli ex consiglieri Pino Raffele, Francesco Filippis, Giuseppe Condello, Carlo Brosio e dei funzionari Antonio Vinci ed Armanda De Sossi. Archiviazione, invece, per gli altri 25 esponenti politici: Martino Porcelli, Paolo Barbieri, Pasquale Fera, Giuseppe Barbuto e Rosa Olimpia Valenzisi, Domenico Antonio Crupi, Bruno Rosi, Barbara Citton, Renato Savio Arone, Aurelio Maccarone, Gianluca Callipo, Carmine Mangiardi, Nicola Altieri, Sergio Francesco Rizzo, Stefano Soriano, Salvatore Di Sì, Giuseppe Grillone, Domenico Fraone,  Francesco Pititto, Giovanni Macrì, Rocco Pistininzi, Giuseppe Rodolico, Francesco Antonio Bilotta, Francesco Miceli e Nicola Crupi. Nell’inchiesta non è mai entrato l’altro ex consigliere serrese Gerardo Bertucci.

Appositamente interpellato dal nostro giornale, Pino Raffele ha specificato che “ancora non mi è stato notificato nulla”, mentre il sindaco della cittadina della Certosa Bruno Rosi mostra tutta la sua soddisfazione per la richiesta di archiviazione chiarendo che “ho sempre detto di essere estraneo rispetto alle accuse ipotizzate e non ho mai avuto alcun dubbio sul fatto che la vicenda si sarebbe conclusa positivamente”.

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Serra: "1800 euro per una delibera"

La politica ha i suoi costi, si sa. E’ il prezzo da pagare alla democrazia. Certo, la democrazia non dovrebbe degenerare in oligarchia, ma questo è un altro discorso. L’argomento di cui intendiamo occuparci, è più prosaico, più spicciolo, in linea con i suoi protagonisti. Se non vivessimo a Serra San Bruno, dall’amministrazione comunale ci aspetteremmo un impegno proiettato alla soluzione dei problemi che affliggono la nostra cittadina. Scrivere l’elenco delle cose da fare, rischia di essere un esercizio stucchevole, poiché di cose da fare ce ne sarebbero veramente tante. Ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta. Ma il sindaco e la sua maggioranza non sembrano pensarla allo stesso modo. Felicemente assisi sul trono degli ignavi, si fanno scivolare addosso qualunque critica. Refrattari a soluzioni, proposte o iniziative, assomigliano ai vecchi mercanti dei bazar, che se ne stanno pigramente seduti a crogiolarsi tutto il giorno. Come quei mercanti, non si fanno distrarre da niente e da nessuno, l’unico sussulto di vitalità lo manifestano quando qualcuno si avvicina troppo alla loro mercanzia. Solo allora, si alzano con inusitata rapidità e sono disposti a metter mano al coltello pur di difendere i loro averi. I nostri amministratori, si comportano esattamente allo stesso modo. A guardarli, politicamente parlando, s’intende, sembrano statue esposte al museo delle cere. Fermi, immobili, fino a quando qualcuno non si avvicina troppo alla loro mercanzia. Direte voi, via! Gli amministratori non posseggono mercanzie! Ed, invece, ce l’hanno, eccome se ce l’hanno. Provate a mettere in discussione un assessorato, provate a parlare di avvicendamento e vedrete. Come quel mercante arabo, scatteranno, pronti a difendere con le unghie e con i denti la loro poltrona. Si sarebbe indotti a pensare che lo fanno perché vogliono portare a compimento il loro mandato, che hanno in cantiere chi sa quale progetto o iniziativa. Si potrebbe pensare che, legittimamente, desiderino lasciare il segno della loro attività. Chi dovesse pensarlo, rischierebbe però di incorrere in un clamoroso errore. Perché l’unico motivo per il quale i componenti della giunta cittadina si arroccano a difesa del loro piccolo posto al sole, sembra, essere un più prosaico interesse di bottega. In altre parole, quel che sembra abbiano più a cuore sono gli  euro garantiti dall’indennità di carica, che nel loro caso assomiglia maledettamente ad una vera e propria prebenda. Come definire, altrimenti, uno stipendio percepito, non in nome del lavoro che si svolge, ma solo in ragione del ruolo che si ricopre. Per esserne definitivamente persuasi, è sufficiente mettere mano all’albo pretorio comunale, dove emerge con evidente imbarazzo che, nel primo mese dell’anno, la giunta ha deliberato solo tre volte. Si, avete letto bene. Come se Serra fosse un’isola felice, dove i servizi funzionano e la disoccupazione non esiste, sindaco ed assessori si sono riuniti soltanto tre volte. A questo punto, viene da chiedersi, quanto i cittadini paghino mensilmente, a sindaco ed assessori, per l’espletamento del loro mandato? La risposta è semplice. Si tratta di una cifra non trascurabile che ammonta a, poco meno, di 5.400 euro. Ora, facendo rapidamente due calcoli, si desume che ogni delibera prodotta nel mese di gennaio è costata ben 1.800 euro. Una cifra spropositata, se non fosse, che, oltre alle delibere, sindaco ed assessori, avranno prodotto una mole di lavoro di cui i serrese possono apprezzare quotidianamente i frutti.

*Consigliere comunale - Gruppo "Al lavoro per il cambiamento"

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La Craxi e quella telefonata di Minniti: il volto nascosto della storia

SERRA SAN BRUNO - Qualche lacrima al momento del video in cui il padre difende la sua voglia di libertà, poi la determinazione ed il carattere che inesorabilmente emergono quando si tratta di rivendicare un operato “nell’interesse della collettività”. Stefania Craxi, giunta nella cittadina della Certosa per presentare il libro “Io parlo, e continuerò a parlare”, mostra sincera commozione, ma anche l’orgoglio di essere la figlia di un uomo che “non avrebbe mai consentito di svendere le aziende di Stato agli amici degli amici” né “la speculazione” che rischia di affossare una nazione. Legge una lettera di Silvio Berlusconi, “unico leader politico ad aver risposto” ad un suo invito per le celebrazioni ad Hammamet, accenna ad un’Europa che sta diventando “un inferno” o, nella migliore delle ipotesi, “un limbo”, rivisita “il finanziamento illecito ai partiti”, ricorda l’esilio di Bettino che fu “una scelta volontaria di ribellarsi a chi lo voleva vinto ed umiliato”. Soprattutto affonda i colpi quando critica “una sinistra che non riesce a fare i conti con mio padre” e quando rinfaccia la telefonata di Marco Minniti per conto di Massimo D’Alema che il 19 gennaio 2000 offriva i funerali di Stato per Bettino Craxi. Offerta rigettata al mittente e da cui scaturisce una domanda che da allora attende di porre all’interlocutore: “se Craxi aveva diritto ai funerali di Stato perché non aveva diritto a curarsi nel suo Paese da uomo libero?”. Più pacato il ragionamento sulla necessità della centralità dei partiti, un tempo compagini dai molteplici ruoli in quanto “selettori della classe dirigente, mezzi che consentivano a tanti figli di nessuno di allearsi e diventare qualcuno, strumenti di partecipazione al processo decisionale e di formazione del senso di comunità”.

Durante la manifestazione moderata da Pietro Melia, il sindaco Bruno Rosi lascia intravedere l’intitolazione di una via a quello che il componente della Fondazione Craxi, Nicola Carnovale, definisce come “l’ultimo grande statista che ha avuto la Repubblica italiana” e che il coordinatore provinciale di Forza Italia Mimmo Arena apprezza come “politico lungimirante” che ha capito in anticipo “gli effetti della finanza sulla politica e sulla democrazia”. Legato all’attuale assetto politico ed istituzionale è l’intervento di Nazzareno Salerno che lega “l’assenza della politica” al sistema elettorale che produce “parlamentari nominati”, che in quanto tali si allontanano “dal territorio”, e si schiera contro ogni forma di “giustizialismo”. Nel volume di Craxi il consigliere regionale azzurro vede “una riflessione attenta di un uomo che ha amato il suo Paese ed ha guardato oltre” e che era diverso da tanti politici che oggi si trasformano in dei “muri” rispetto alle esigenze della gente.

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Serra: Rosi il tempo è scaduto

SERRA SAN BRUNO - La matassa, si sa, è difficile da dipanare. Il groviglio dei veti incrociati e le rivendicazioni personali di alcuni membri della guarnigione azzurra, il cui traguardo è una poltrona, stanno impantanando il sindaco Bruno Rosi. Ma nella palude c’è piombata anche l’intera cittadina che da mesi, ormai, aspetta un nuovo esecutivo e sconta la cattiva salute di una maggioranza che non riesce ad uscire dall’empasse. Se da un lato, infatti, il sindaco ostenta fiducia nella ricomposizione del governo cittadino, dall’altro il tempo stringe la borsa e la necessità di dare una svolta all’ultimo anno di amministrazione prima della tornata elettorale è quanto mai indispensabile. In ballo non c’è soltanto l’attività amministrativa, ma anche la ricandidatura di Rosi. Il primo cittadino non fa mistero di voler essere ricandidato ma nel contempo sarebbe pronto a farsi da parte qualora non dovesse portare a termine alcuni degli obiettivi che si è prefissato. Quali? La fine della sospensione del taglio dei lotti boschivi che dovrebbe portare nelle casse comunali una boccata d’ossigeno e la soluzione del problema dell’acqua. Questi, dunque, i punti sui quali Rosi ha intenzione di giocarsi il suo futuro amministrativo. Ma, come si suol dire, ha fatto i conti senza l’oste. Cioè non ha fatto i conti con la scelta dei membri dell’esecutivo cittadino che dovrebbero affiancarlo in quella che si presenta come una lotta contro il tempo. Mai, così come in questo frangente, il sindaco, ha bisogno di uomini all’altezza della situazione. Come diceva Eduardo De Filippo: «Il presepio è bello ma i pastori non sono buoni». L’Avvento è finito ed ora è tempo di cambiarli.

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Acqua, Mirko Tassone attacca Rosi: “Concentrati sulle poltrone e non sui problemi”

“Ora è ancor più urgente e necessario procedere al distacco immediato da Sorical”. Va subito al dunque Mirko Tassone che vede la situazione complicarsi anziché risolversi e, vista la rilevanza della tematica, insiste sull’esigenza di adottare gli opportuni provvedimenti con rapidità. “Alla luce delle risultanze investigative emerse nell’ambito del nuovo filone d’inchiesta (“Acqua sporca 2”) che riguarda l’invaso dell’Alaco e la fornitura idrica ai cittadini – spiega il consigliere d’opposizione - l’amministrazione comunale non può continuare a fare come lo struzzo e mettere la testa sotto terra per non vedere il problema. Il problema esiste e va affrontato e risolto, tanto più, che da quanto si è appreso le acque dell’Alaco non sarebbero mai state, neppure, classificate. Un fatto inquietante che la dice lunga sulla qualità di un liquido che i cittadini pagano a caro prezzo come acqua potabile”. L’esponente di “Al lavoro per il cambiamento” chiama alle proprie responsabilità gli inquilini del palazzo municipale di piazza Carmelo Tucci e ricorda “le tante promesse non mantenute dal sindaco Rosi” ed, in particolare, ricorda che il capo della giunta “in campagna elettorale aveva promesso, addirittura, la trasformazione dei boscaioli in rabdomanti, pur di trovare l’acqua necessaria a staccarsi da Sorical”. La critica viene condita con un pizzico d’ironia ed infatti Tassone sostiene che “andato evidentemente in fumo il corso di formazione e la conseguente riconversione professionale dei taglialegna in cercatori d’acqua, il sindaco aveva promesso, nientepopodimeno che l'accensione di un mutuo di, udite, udite, un milione di euro che avrebbe permesso di risolvere definitivamente il problema”.  Ma preso dalla “diuturna opera di fare e disfare la giunta, il sindaco deve essersi distratto, salvo tirare fuori dal sempre più striminzito cilindro d’illusionista, il famigerato connubio comune – regione”. A questo punto, il rappresentante della minoranza opera una breve cronistoria e rammenta che Rosi aveva annunciato “urbi et orbi, che grazie ad un finanziamento regionale di 250 mila euro, avrebbe superato le criticità” senza dimenticare di precisare che “rispetto al milione promesso, mancavano all’appello 750 mila euro”. Qui arriva un nuovo affondo perché “cammin facendo, anche i 250 mila euro si sono persi nel porto delle nebbie di un’amministrazione sempre più interessata a mantenere le poltrone che a governare Serra”. E se Tassone non nutre speranze rispetto ad “su un sussulto improvviso che induca il sindaco e la sua maggioranza a procedere all’immediato distacco da Sorical” sente però “il dovere civile d’invitare l’amministrazione a compiere un passo necessario per tutelare la salute dei cittadini”. D’altra parte, “la strada da percorre l’avevamo indicata, anni or sono, quando all’indomani del suo insediamento avevamo invitato il sindaco Rosi a far censire i pozzi comunali in disuso, riattivare le sorgenti inutilizzate, procedere al un graduale recupero della rete idrica danneggiata onde evitare la dispersione e lo spreco d’acqua, al fine di recuperare l’autosufficienza necessaria per interrompere  la dipendenza da Sorical”. Dal singolo caso Tassone passa ad una riflessione più generale e nella convinzione che “Serra avrebbe avuto bisogno di un’amministrazione comunale e non di una sua parodia” rilancia la sua tesi chiarendo che “quella guidata dal sindaco Rosi più che un’amministrazione moribonda è un’amministrazione mai nata, uno di quegli scherzi che la politica può partorire soltanto alle nostre latitudini”. Con amarezza, conclude che “poco o nulla ci si può aspettare da una giunta guidata da un timoniere che nella migliore delle ipotesi, forse, avrebbe dovuto e potuto fare l’aiuto mozzo”.

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