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Serra: perché non istituire un parco letterario?

Scriveva Stanislao Nievo: “I Parchi Letterari assumono il ruolo di tutela letteraria di luoghi resi immortali da versi e descrizioni celebri che rischiano di essere cancellati e che si traducono nella scelta di itinerari, tracciati attraverso territori segnati dalla presenza fisica o interpretativa di scrittori. Un singolare percorso che fa rivivere al visitatore le suggestioni e le emozioni che lo scrittore ha vissuto e che vi ha impresso nelle sue opere.” Orbene Serra San Bruno ha avuto il privilegio di avere tra i suoi figli due grandi della letteratura: Sharo Gambino e Mastro Bruno Pelaggi, quest’ultimo addirittura recente voce della Treccani. Il Gambino, nei suoi saggi e nelle poesie dette voce alla gente delle Serre con descrizioni particolareggiate dei luoghi; il Pelaggi è stato l’anima rivoluzionaria dell’amara realtà postunitaria. Vien da sé che Serra merita l’istituzione di un parco letterario intitolato ai nostri Gambino e Pelaggi  non solo per custodire e divulgare le loro opere ma per salvaguardare  il territorio serrese attraverso la letteratura. Ciò permette di avvicinare il visitatore e il lettore all'ambiente descritto dai nostri autori e coinvolgerlo nella tutela dell’ambiente. Insomma un Parco letterario per conoscere e far conoscere l’evoluzione, o involuzione se volete, delle comunità, come Serra San Bruno, Mongiana, Fabrizia, Nardodipace, Brognaturo e le altre, attraverso le opere letterarie ed artistiche. Gambino e Pelaggi offrono un diverso codice di interpretazione dello spazio scelto, mille anni orsono, da san Bruno e danno un nuovo significato al territorio tra paesaggio, patrimonio culturale e attività economiche. È auspicabile che Serra San Bruno possa essere sede di un Parco Letterario “Sharo Gambino-Mastro Bruno Pelaggi”, e questo vuole essere un benevolo assist alla nuova Amministrazione comunale e alle altre associazioni presenti e operanti. Tra gli obiettivi realizzabili: una biblioteca specializzata sulla letteratura calabrese che  possa rappresentare il luogo della conoscenza; un museo ed un centro studi  che conservi e valorizzi le opere degli autori serresi; la rinascita della casa natale del Pelaggi; un percorso turistico attraverso i luoghi anche di altri autori e poeti dell’intero comprensorio, fatti conoscere da critici letterari ed esperti, per valorizzare pienamente le bellezze paesaggistiche e i tantissimi beni monumentali. Insomma ripensare il territorio alla luce delle tradizioni e della poesia.

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Serra e la Decauville, quando il treno arrivava a Santa Maria

Spezzare le catene dell’isolamento. È stato questo uno dei sogni più ricorrenti dei serresi. Un sogno andato avanti per oltre un secolo e mezzo e non ancora concluso.

Il primo a cercare di dare concretezza a quella che ancora oggi sembra una chimera, fu Ferdinando di Borbone, il quale, nel 1852, trovandosi in visita a Serra San Bruno e Mongiana, s’impegnò a far costruire la strada “Regia”. Una volta realizzata, l’arteria permise alle Serre di accorciare le distanze dal porto di Pizzo, da dove partivano le navi dirette a Napoli.

Meno legati al senso dell’onore, implicito al rispetto della parola data, i governanti successivi, non si preoccuparono eccessivamente di formulare promesse impossibili da mantenere.

Nei primi decenni del Novecento, infatti, l’argomento, quasi unico, utilizzato dai candidati a qualunque elezione fu la costruzione della ferrovia.

In pratica, per i politici in marsina la strada ferrata è stata ciò che per i loro epigoni in giacca e cravatta è stata la Trasversale delle Serre, un enorme bluff.

Tuttavia, seppure con le debite differenze, c’è stato un tempo in cui il treno a Serra arrivò veramente.

Un treno particolare, che rappresentò una novità assoluta e che portò nei verdi boschi delle Serre i grigi sbuffi di una locomotiva.

Il treno in questione è quello utilizzato nei primi anni del Novecento per trasportare carbone e gli alberi appena abbattuti, dal bosco al piazzale dello “Stabilimento” di Santa Maria.

Una storia ricostruita da Brunello De Stefano Manno e Stefania Pisani nella “Fabbrica di cellulosa”, il libro in cui è stata riscoperta la storia dell’opificio che per quasi mezzo secolo produsse “pastelegno”, ovvero cellulosa.

Quella che ha solcato i boschi di Santa Maria, ovviamente non era una strada ferrata destinata al trasporto passeggeri. Era una ferrovia a scartamento ridotto, di tipo “Decauville”.

Costruita negli stabilimenti francesi di Petit Bourg, la ferrovia ideata da Paul Decauville (1846 – 1922)  si prestava particolarmente per i trasporti in miniera ed in cantiere. In ragione del costo contenuto, determinato, anche, dalla semplicità delle operazioni di montaggio e smontaggio, trovò ampia diffusione anche nelle attività di esbosco. I tratti di binario erano simili a quelli impiegati nel modellismo ed una volta pre-assemblati, potevano essere posati con una preparazione minima del terreno.

Nei boschi serresi, le prime rotaie erano arrivate sul finire dell’Ottocento, quando operai “Cadorini e Sloveni […] avevano introdotto […] il sistema del taglio effettuato con le seghe” e nel contempo approntato la “rete” ferrata sulla quale viaggiavano i carrelli trainati da buoi o muli.

L’innovazione tecnologica arrivata con la Decauville non interessò soltanto l’introduzione della locomotiva, il cui fischio “lanciato quattro volte al giorno”, alle 8, alle 13, alle 13,0 ed alle 18,30, “era per i dipendenti [ della fabbrica di cellulosa] il segnale d’inizio e fine lavoro”.

Il tracciato venne rinnovato, furono installate nuove rotaie e modificate le pendenze in maniera tale da poter gestire il carico in discesa. Qualche tratto è tuttora visibile nelle vicinanze del “Guttazzu”, dove sorge un piccolo ponte, sotto cui transitavano i convogli ed un muro a secco accanto al quale passava la ferrovia.

Ovviamente, il tracciato era piuttosto tortuoso, tanto più che la pendenza non doveva superare il 25-30% e le curve non potevano avere un raggio inferiore ai 12 metri. Si trattava di accorgimenti necessari a non sollecitare oltremodo i rudimentali freni e ad impedire ai piccoli vagoni di ribaltarsi con tutto il loro carico.

Verosimilmente il “treno” partiva al mattino dal piazzale antistante lo stabilimento di Santa Maria e faceva ritorno nel pomeriggio. Un viaggio al giorno, quindi, che iniziava con gli sbuffi della locomotiva che in salita trainava il convoglio costituito da una decina di carrelli.

Giunto a destinazione, il treno veniva caricato con l’uso di paranchi in legno e con la forza delle braccia. Ogni carrello ospitava toppi di due metri, mentre i tronchi di lunghezza maggiore venivano appoggiati, a bilico, su 2 o 3 carrelli. Le operazioni di carico erano piuttosto delicate, tanto più che si doveva rendere massima l’efficienza della corsa e nel contempo impedire ai tronchi di dare origine a pericolosissimi deragliamenti.

Una volta completato, il carico veniva assicurato con robuste catene. Quest’ultima operazione, precedeva l’attività più difficile e rischiosa, il viaggio di ritorno. I vagoni venivano sganciati dalla locomotiva che seguiva il convoglio spingendolo in qualche tratto pianeggiante dove il moto tendeva a spegnersi. Lungo la gran parte del percorso, infatti, i carrelli viaggiavano grazie alla forza di gravità.

L’operazione, piuttosto complicata, era condotta dal “personale di bordo” composto da un motorista, preposto alla locomotiva, da cinque o sei frenatori e da altrettanti operai addetti al carico. Con l’aumentare della pendenza, il convoglio acquistava velocità. Diventava, quindi, fondamentale il lavoro svolto dai frenatori, i quali dovevano azionare contemporaneamente, il freno a vite e quello a bastone, montato su ciascun carrello.

In buona sostanza, l’addetto ai freni stava seduto su un tronco e con i piedi azionava il freno a bastone, mentre con una mano girava la manovella per attivare il freno a vite del carrello adiacente. Ancor meno agevole era l’operazione condotta dai due “sabbiatori” che viaggiavano distesi sul carrello di testa. Questi due operai, uno per ogni rotaia, si occupavano di spargere manualmente la sabbia sui binari, al fine di assicurare maggiore aderenza durante la salite e di rallentare la corsa in discesa.

Giunto nel piazzale dello stabilimento di Santa Maria, il treno veniva scaricato per essere pronto l’indomani.

Un via vai andato avanti fino al 1928, quando la fabbrica chiuse i battenti. Della ferrovia non rimase pressoché nulla, il materiale venne completamente “riciclato”. Le rotaie, una volta segate, vennero impiegate nell'edilizia come travi di sostegno per i balconi.

La Decauville, invece, venne utilizzata nella segheria di Santa Maria “a fianco delle semifisse a vapore che azionavano le seghe automatiche”.

La piccola locomotiva andò definitivamente in pensione nel 1947, l’anno in cui il suo fischio diede per l’ultima volta il segnale orario ai dipendenti della segheria la "Foresta" subentrata alla fabbrica di cellulosa.

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Rischio terremoto: solo pochi comuni del vibonese hanno un piano d'emergenza, ecco quali

In Italia le sciagure legate alle calamità naturali non sono mai mancate. La fragilità del territorio, nel corso dei secoli, ha determinato catastrofi di tutti i tipi. Negli ultimi anni, poi, la regolarità con si sono succeduti alluvioni e terremoti è stata quasi imbarazzante. Al fine di cercare di prevenire e fronteggiare al meglio le emergenze, con la legge 100 del 2012, è stato “riordinato” l’intero settore della protezione civile. La nuova normativa ha coinvolto direttamente i comuni, obbligandoli a dotarsi di piani d’emergenza finalizzati a gestire la prevenzione dei rischi e le operazioni in caso di calamità. Come evidenziato dal sito della Protezione civile nazionale: “Il piano d’emergenza recepisce il programma di previsione e prevenzione, ed è lo strumento che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un’area a rischio. Ha l’obiettivo di garantire con ogni mezzo il mantenimento del livello di vita  “civile” messo in crisi da una situazione che comporta gravi disagi fisici e psicologici”. Si tratta, quindi, di un documento imprescindibile la cui importanza è ritornata di stretta attualità in seguito al recente terremoto che ha colpito l’Italia centrale. Un documento che, molto probabilmente, superata la contingenza, tornerà a rappresentare una delle tante inadempienze italiche. A dispetto della norma che ne imponeva ai comuni l'approvazione entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge, in molti casi, i piani d’emergenza non sono mai stati redatti. Tra le regioni più inadempienti, neppure a dirlo, figura la Calabria. A certificarlo in maniera inequivocabile, l’elenco pubblicato sul sito della Protezione civile nazionale dal quale si evince che, dei 409 comuni calabresi, soltanto 219, ovvero il 54% del totale, si sono dotati di un piano. L’elenco, aggiornato al 18 settembre 2015 sulla scorta dei dai forniti dalle Regioni, evidenzia la responsabile negligenza di molti amministratori locali che, incuranti del fatto che i loro territori siano classificati ad alto rischio, non hanno provveduto ad approvare alcun piano. Nel poco esaltante contesto generale, spicca la provincia di Vibo Valentia, il cui territorio è classificato in zona sismica 1, ovvero la più pericolosa. Qualora ci fosse una calamità, infatti, dei 50 comuni che compongono l’area vibonese, soltanto in 4 (5, ove si consideri che, pur non figurando nell’elenco redatto dalla protezione civile, il comune di Dasà ha proceduto all’approvazione del piano il 25 settembre 2012), sarebbero nelle condizioni di mettere in atto le misure contenute nel piano d’emergenza. Gli unici comuni virtuosi, sono Fabrizia, Polia, Serra San Bruno e Zambrone, gli altri, con tutta evidenza, più che ai piani d’emergenza, preferiscono  affidarsi al buon dio ed alla sorte.

Meteo: temporale in arrivo sulle Serre, ecco quando

Una perturbazione proveniente dal “Nord Europa si addossa alle Alpi con obiettivo principale Balcani ma in parte anche l'Italia. Tra lunedì e martedì si isola un vortice che dai Balcani si porterà verso il Centrosud”. E’ quanto segnalano gli esperti di 3bmeteo che, per i prossimi giorni, prevedono pioggia ed un progressivo calo delle temperature su tutta la Penisola. In particolare, le “nubi in transito da Nord verso Sud” provocheranno  “rovesci e temporali anche forti entro il pomeriggio su Umbria, Marche, Abruzzo, solo occasionali sulla Toscana, in estensione entro sera a Lazio, Campania, Molise, Puglia, Basilicata, poi resto del Sud entro la notte”. Le aree più a rischio sono il “medio Adriatico” e le regioni del Sud dove sono previsti “fenomeni intensi e a carattere di nubifragio” con “picchi di oltre 50mm e locali grandinate”. Le temperature subiranno “un calo termico di 8-10°”. L’ondata di maltempo non risparmierà neppure l’altipiano delle Serre dove martedì sono previsti 37mm di pioggia. Al temporale si accompagnerà un brusco calo della temperatura, con la colonnina di mercurio che non supererà i 19°C. Il resto della settimana sarà caratterizzato da una persistente instabilità, con il sole che si alternerà a qualche precipitazione.

 

La reliquia della Madonna delle Lacrime a Serra San Bruno

Il 29 agosto del 1953 i coniugi siracusani Angelo Iannuso e Antonina Lucia Giusto notavano per la prima volta delle lacrime scendere da un’effigie in gesso smaltato, posta a capo del loro letto, raffigurante il Cuore Immacolato di Maria. A distanza di 63 anni, il giovane sacerdote serrese don Vincenzo Schiavello ufficializza la notizia che dall’8 al 10 settembre le lacrime della Madonna, contenute in un prezioso reliquiario, si troveranno nella chiesa di Maria SS. dei Sette Dolori, a pochi giorni dalla sua festa quale Protettrice di Serra San Bruno. Un evento fortemente voluto dal priore Enzo Vavalà e dal suo Seggio, che va ad aggiungersi all’ostensione di una copia della Sacra Sindone avvenuta in occasione della Pasqua 2015 e agli altri eventi che hanno visto l’arciconfraternita serrese capofila. I fedeli serresi, dunque, avranno la possibilità di venerare da vicino una delle reliquie più controverse del Cattolicesimo; reliquia tuttavia molto cara e sulla quale la Chiesa ha dato il suo pieno consenso. Il liquido contenuto nell’ampolla, infatti, dalle analisi risulta corrispondente a “lacrime umane”. Le analisi sull’effigie della Madonna hanno inoltre rilevato che si tratta di un “fenomeno non spiegabile scientificamente”, non essendoci irregolarità alcuna sulla superficie e nelle cavità interne del quadro, e nonostante i numerosi tentativi di riproduzione in laboratorio del fenomeno che mai però hanno portato ai risultati sperati dai detrattori. Sin da Pio XII, il magistero dei Papi ha riconosciuto il prodigio di Siracusa. E proprio le parole di papa Pacelli risuoneranno nei prossimi giorni nella chiesa Addolorata: “…dolorosa e lacrimante sostava ai piedi della Croce, ove era affisso il Figliolo. Comprenderanno gli uomini l’arcano linguaggio di quelle lacrime?”.

Serra: chiude la storica segheria "La Foresta", saranno licenziati più di 30 lavoratori

La notizia circolava da qualche tempo, ma finora mancavano i crismi dell’ufficialità. “La Foresta” chiuderà la segheria e procederà al licenziamento di quasi tutta la sua forza lavoro. A confermare quelle che sembravano semplici dicerie, il documento con il quale l’azienda ha informato le organizzazioni sindacali dello “intendimento di procedere al licenziamento per riduzione di personale di 9 lavoratori su un totale di 13 lavoratori ( oltre a 25 lavoratori a tempo determinato) della complessiva azienda”. Fin dal preambolo della missiva, inoltrata lo scorso 18 luglio, si evince il sostanziale azzeramento del personale. La scure è, infatti, destinata ad abbattersi su 34 dei 38 dipendenti attualmente in servizio. L’impresa, considerata fino a qualche tempo fa una delle realtà produttive più solide del circondario, secondo il documento, starebbe attraversando una grave crisi economica. “La Foresta”, la cui sede produttiva è ubicata a poche centinaia di metri da Santa Maria del bosco,  “ si occupa di attività forestale ( dalla semina al taglio delle piante, prevalentemente Abete Bianco); di lavorazione delle piante tagliate per la produzione di segati destinati alla carpenteria e all’imballaggio; di produzione di biomassa da destinare alla centrale di generazione elettrica da 1 MWe […] La Società dispone, quindi, di un bosco, di un reparto segheria destinato alla lavorazione dei tronchi per la produzione di segato e di una centrale termoelettrica che assorbe tutta la produzione aziendale”. A pesare negativamente sul bilancio aziendale sarebbero diversi fattori, a partire dalla “centrale termoelettrica” la cui “redditività è molto bassa a causa di un maggiore assorbimento di materia prima rispetto al preventivato in fase di business plan”. A ciò andrebbe ad aggiungersi “la crisi immobiliare post 2008”, con il conseguente crollo del “mercato del segato”. A  fotografare le difficoltà in atto, il dato relativo al fatturato: “ crollato dai 381 mila euro dei primi cinque mesi del 2015 ai 171 mila dei primi mesi del 2016”. Un 55% in meno che “impone una drastica e veloce riorganizzazione che porti alla riduzione dei costi fissi e una ottimizzazione dei costi variabili, oltre all’eliminazione dei settori – attività meno profittevoli”. Quella che nel documento viene definita riorganizzazione, in realtà si concretizzerà: nella “chiusura” della segheria, ritenuta la “attività in maggiore perdita”; nella “esternalizzazione” del “servizio di gestione e conduzione del macchinario” della centrale a biomassa e nello “snellimento” del reparto tecnico e nella “esternalizzazione del servizio di agronomia”. In altre parole,  verranno cessate “l’attività della segheria e della gestione della centrale a biomassa e del servizio interno di agronomia”. Secondo lo specchietto riassuntivo, contenuto a pagina 3 del documento, dei 38 dipendenti attuali ne dovrebbero rimanere in servizio solo 5 ( 1 dirigente, 1 impiegato, 3 camionisti/trattoristi). Complessivamente, quindi, i licenziamenti dovrebbero interessare 33 lavoratori, un numero leggermente diverso rispetto a quello indicato in premessa dove si parla  del “licenziamento per riduzione di personale di 9 lavoratori su un totale di 13 lavoratori (oltre a 25 lavoratori a tempo determinato)”. Tuttavia, al di là della discrepanza, il dato sostanziale è che, a breve, oltre 30 padri di famiglia rimarranno senza stipendio. Verosimilmente, i licenziamenti potrebbero essere recapitati ai destinatari tra metà settembre ed inizio ottobre, ovvero al termine dell’iter procedurale previsto dalla normativa di riferimento. Per fermare l’ennesimo macigno che sta per abbattersi su Serra servirebbe una mobilitazione, un atto di responsabilità da parte di chi ha il potere per intervenire. Nessuno può pensare di rimanere indifferente rispetto alla sostanziale chiusura della più importante realtà produttiva serrese.   

Serra. Stagione estiva in chiaroscuro: antichi vizi e virtù da coltivare

Breve, troppo breve, il periodo intercorso dall'insediamento della nuova Amministrazione Comunale di Serra San Bruno per pretendere di più, in qualità e quantità, dal cartellone di eventi estivi. Accolte con buon senso le legittime giustificazioni dettate dalla necessità di fare i conti con le esangui casse municipali, tuttavia, è opportuno tracciare una netta linea di demarcazione tra ciò che merita di essere posto nel giusto risalto e quel che, invece, deve diventare oggetto di seria riflessione per disegnare un solco in discesa per le sorti della cittadina bruniana. L'entusiasmo che porta in dotazione il sindaco Luigi Tassone è la mattonella da cui partire per prendere la rincorsa: il sincero desiderio di spendersi per una crescita stabile e produttiva traspare in modo visibile, al pari della rapida presa di coscienza del ruolo che ha assunto nel giugno scorso. L'abito c'è e, sebbene non risulti ancora essere tagliato su misura, tutto lascia supporre che, progressivamente, il Primo Cittadino, saprà indossarlo con sempre maggiore consapevolezza. Perché questo percorso sia liberato da "bucce di banana" è fondamentale, però, che sia lui, anche in maniera plasticamente visibile, ad ergersi a guida dell'intera comunità. Un capo che, coinvolgendo in modo attivo tutte le categorie e tutti i cittadini, indichi la via imposta da una visione strategica. E' questa la vera prova del fuoco: tratteggiare, fin nel minimo dettaglio, il futuro prossimo di Serra San Bruno che non può prescindere da un approccio radicalmente differente all'inesauribile risorsa del turismo. Affinché l'obiettivo sia perseguito con lucidità, è indispensabile programmare con lungimiranza avendo come orizzonte il lungo periodo: l'improvvisazione non paga e la sinergia tra pubblico e privato è l'unico grimaldello in grado di scardinare antichi retaggi comportamentali che pesano come macigni sul groppone delle ambizioni. Già in una recente occasione, questo giornale aveva auspicato che i risultati (troppo tardivi) raggiunti nei lavori per il completamento della Trasversale delle Serre meritano di essere considerati l'elastico trampolino di lancio verso lo sviluppo e non un traguardo sotto il quale sgomitare stappando bottiglie di champagne. Troppe le occasioni perse per lasciarsi andare ad una prosopopea sterile che farebbe perdere di vista, ancora una volta, gli obiettivi da conquistare a suon di idee concretamente perseguibili. Valga, per tutti, l'esempio rappresentato dalla decisione, intelligente, di fare ingresso nel circuito "Bandiera arancione". Corre l'obbligo, già solo per questa ragione, di riempire di contenuti la strada intrapresa che è puntellata dall'abbraccio di una cultura fondata su due motori: la tutela dell'ambiente e la "cura", professionale ed avvolgente, delle esigenze manifestate dai turisti. Entrambi appartenenti, potenzialmente, al profilo genetico di Serra San Bruno, non sono stati, tuttavia, ancora sfruttati a pieno regime: tutt'altro. Per rendere strutturale in maniera continuativa la vocazione naturale del "gioiello delle Serre" è imprescindibile l'abilità della squadra di governo. Soltanto una proficua sinergia tra pubblico e privato, infatti, può togliere dalle secche della ricerca spasmodica dell'interesse "particulare", rinchiudendosi ottusamente alla prospettiva del tenace inseguimento del benessere collettivo. Basti pensare alla contraddizione, enorme, costituita dalla fiera resistenza opposta da qualche commerciante alla chiusura al traffico per l'intera giornata del Corso Umberto I durante le affollate settimane del mese di agosto. Anche a questo proposito è apprezzabile il desiderio, coltivato da Tassone, di alzare l'asticella trasformando per qualche ora in più rispetto al passato l'arteria stradale nel cuore del centro storico in isola pedonale di cui possano beneficiare tutti: cittadini, turisti e gli stessi commercianti. Nonostante gli sforzi, resta da capire come possano conciliarsi l'esigenza di salvaguardare il delicatissimo patrimonio storico-artistico-architettonico e naturale, con l'invasione di lamiere e gas di scarico inquinanti in tutti i pertugi delle vie storiche di Serra. Ordine e decoro urbano che passano, tra l'altro, dall'urgente soluzione della drammatica emergenza legata al randagismo. Nel caso le difficoltà siano connesse a motivazioni di carattere economico-finanziario, è opportuno che, a strettissimo giro di posta, l'Amministrazione si sieda attorno ad un tavolo con le varie associazioni che sul territorio difendono i diritti degli animali senza alzarsi prima di aver individuato un percorso condiviso che spazzi via gli alibi e prevenga atti di indegna bestialità come l'avvelenamento con polpette disseminate per strada. Un oltraggio alla civiltà ed alla storia della cittadina della Certosa perpetrato là, in mezzo al dedalo brulicante di fascino struggente di quell'incantevole labirinto di vicoli che trasuda cultura popolare e tradizioni senza tempo. Un tributo perpetuo alla Bellezza davanti al quale inchinarsi con sacro rispetto attribuendogli valore, anche economico, con una radicale operazione di recupero che permetta di sfruttarlo, in forma intensiva, sul piano turistico. Il numero di posti letto complessivamente disponibili per i visitatori è talmente esiguo, del resto, da stroncare sul nascere qualsiasi velleità. In quest'ottica, il naufragio del progetto "Paese albergo" si erge come un precedente da non ripetere, una grottesca manifestazione di impreparazione ed incapacità inscenata dagli amministratori precedenti. Avendo come punto di riferimento gli errori del passato, l'Esecutivo comunale, anche in questo caso fungendo da traino dell'iniziativa privata, deve osare con intraprendenza individuando i canali di finanziamento utili ai fini del reperimento delle risorse da utilizzare per riempire di strutture ricettive il centro storico. E' inammissibile continuare a vantarsi della magnificenza delle Certosa, di Santa Maria e delle chiese senza avere un guizzo d'ingegno che, facendo affidamento sulle leve del marketing e della comunicazione, metta a reddito il filone del turismo religioso. Servono competenze adeguate all'impresa ed un orientamento pragmaticamente votato alla sfida ad una concorrenza che, in Italia ed all'estero, è in perenne fermento. La fotografia dell'esistente, opaca, funga da base di partenza perché ancora tanti sono i passi da compiere prima di salire sul treno che può accompagnare Serra San Bruno all'agognata stazione del futuro. Essere coscienti degli enormi limiti attuali è il primo banco di prova: la mentalità dell'accoglienza e dell'ospitalità, se tradotta in sistema, premierà coloro che se ne faranno carico esibendola con stile, costringendo al miglioramento dell'offerta quegli esercizi commerciali in cui ancora, a titolo esemplificativo, non è possibile effettuare un acquisto con carta di credito perché sprovvisti di POS. Lascia di stucco, in particolare, che fra questi figurino anche quelli che si propongono come approdo naturale delle visite turistiche.  Spalancare, con cortesia e disponibilità, le porte agli ospiti predisponendo l'animo ed i comportamenti all'idea che essi siano "La" risorsa è un'esperienza da vivere in modo totalizzante: la precondizione imprescindibile per offrire, ogni giorno dell'anno, un'immagine di cui andare orgogliosi e da "vendere" sul mercato. E sia chiaro fin d'ora: lasciarsi spingere dall'indolenza nella palude della rassegnazione bloccherebbe sul nascere qualsiasi tentativo di dare colore ad un domani che può avere, nonostante tutto, contorni rosei. 

Serra. Vandali all’opera, l’Esecutivo comunale: "Pronta l’installazione di telecamere"

Furti di piante, cartellonistica divelta, muri imbrattati. E poi, deposito indiscriminato della spazzatura in ore e luoghi vietati. "Atti di vandalismo che, oltre a danneggiare l’immagine della cittadina della Certosa alla quale l’Amministrazione comunale di Serra San Bruno - come si legge in una nota - si era operata a restituire il giusto decoro, provocano un vero e proprio danno patrimoniale ai danni dell’intera collettività. Gesti sconsiderati, ma per fortuna isolati, che l’Esecutivo comunale guidato dal sindaco, Luigi Tassone, dopo l’operazione di abbellimento messa in opera durante l’estate, intende perseguire con determinazione per far morire sul nascere un fenomeno che potrebbe inficiare tutta una strategia amministrativa volta al riscatto morale e materiale della cittadina montana, capofila dell’entroterra vibonese dove arte, storia, spiritualità e cultura si prendono per mano. E’ della scorsa notte il totale furto delle piante di abbellimento messe in opera sul lungofiume per riscattarlo dall’annosa dimenticanza e restituirlo ai cittadini come luogo di passeggio per ammirare uno dei panorami periferici più belli di Serra. Così come, ormai, è tristemente nota l’abitudine di abbandonare rifiuti per strada, lungo i parchi ed in altre belle aree della cittadina montana che vengono inquinate sia esteticamente che dal punto di vista naturalistico.  Ma ora la misura è colma e l’Amministrazione comunale intende reprimere questi fenomeni". "Purtroppo – è il commento del Primo Cittadino Luigi Tassone  – dobbiamo riscontrare che non si tratta di singole bravate, ma di veri e propri atti ripetuti frutto di sconsiderati che, pensando di fare un dispetto all’Amministrazione comunale, in realtà lo fanno all’intera comunità serrese, provocando un vero e proprio danno erariale ed un’offesa all’immagine della nostra città che intendiamo difendere con ogni mezzo. Per questo abbiamo predisposto uno studio per mettere in campo delle telecamere di sorveglianza sia sugli scorci maggiormente rappresentativi della cittadina, sia dove indiscriminatamente e senza controllo viene depositata la spazzatura in orari e luoghi vietati. Allo stesso modo è stato assegnato alla Polizia municipale il compito di combattere senza indugi tale fenomeno che dev’essere immediatamente soppresso".

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