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Il corpo di Sara Di Pietrantonio bruciato dalla nostra apatia: nessuno si senta escluso

Egoismo drogato dall'ossessivo ripiegamento sulle proprie insicurezze, incapacità di definizione del proprio io in un contesto più ampio, fosse anche quello di coppia; paura dei nostri simili, fuga dalle responsabilità sociali, anche le più elementari, davanti a qualcosa che avviene ai margini dello sguardo, preferendo continuare a seguire il percorso che quella sera, in questa vita così stretta, non prevedeva l'imprevisto, non contemplava di scavalcare la staccionata della selvaggia indifferenza. Quella stessa indifferenza che siamo convinti di mettere a tacere (perché sentirla parte di noi fa male per quanto è velenosa) con un like o con una stupidamente angosciata condivisione di un post su Facebook. Nella tragedia dell'essere umano che si è consumata nel cuore di una notte qualunque, ai bordi di una strada qualunque di Roma, si intravedono, tutti, senza esclusione di nessuno di essi, i "proiettili" che hanno ucciso l'anima di ciascuno di noi. Ad esplodere i colpi non è, e non è stato, il Fato o l'ineluttabilità degli eventi, ma un lento, quanto inarrestabile, declino indebolimento dei fili che tenevano assieme il tessuto sociale. La barbarie, di cui è stata vittima Sara Di Pietrantonio, una bella e bionda studentessa universitaria di 22 anni che ha pagato questo e questo soltanto, è l'emblema di un cortocircuito emotivo di cui tutti paghiamo le conseguenze devastanti, ogni giorno e senza nemmeno rendercene conto. E Vincenzo Paduano, il maledetto torturatore che le ha strappato la vita, bruciandone il corpo, è come se avesse carbonizzato anche le residue illusioni di una comunità che è morta, ma non lo sa, che puzza per il marciume da cui è invasa, ma non lo sa, che affoga nel mare della sua gretta cecità, ma non lo sa. Una palude senza possibilità di salvezza perché, quando manca la consapevolezza di essere insozzati dal fango che ci ricopre, dentro e fuori, dalla testa ai piedi, non è possibile nemmeno chiedere aiuto o aggrapparsi a qualunque appiglio sufficientemente solido da impedirci la definitiva scomparsa negli abissi oscuri dell'inumanità. Purtroppo per Sara solo in senso metaforico, ma in quell'auto, dietro quel muro che sperava potesse sottrarla all'infamia dell'uomo, c'era un pezzo di ciascuno di noi. Quelle mani che hanno cosparso di alcol e poi appiccato il fuoco non erano solo quelle di Paduano: guardando in controluce, si scorgono le linee delle nostre dita insensibili al tatto della presenza dell'Altro. Quegli occhi dei passanti che, pur consci, perfettamente consci, delle difficoltà patite da una giovane donna, si sono spaventati di vedere, erano i nostri: apparentemente aperti, sbarrati soltanto sulle necessità di trascinarci, costi quel che costi, fino al capolinea di un viaggio insulso, e chiusi, per cessata attività, davanti alle fiamme che hanno incenerito lo spirito di tutti. E nessuno si senta escluso. 

 

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