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Il Comune paga i rom perché lascino la tendopoli

Il comune paga gli ex abusivi. L’ennesima bizzarra notizia di questo nostro stravagante Paese, arriva da Cosenza dove la giunta ha deliberato la concessione di un contributo a favore un gruppo di persone che risiede in un “campo d’emergenza”. Detta così sembrerebbe una notizia come tante altre, se non fosse che gli individui che dimorano nel “campo” in questione non sono profughi o rifugiati; non sono neppure uomini e donne che scappano dalla guerra. Si tratta, per lo più, di cittadini romeni di etnia rom, trasferiti nel “campo d’emergenza” lo scorso mese di giugno, in seguito ad un’ordinanza con la quale il sindaco ha disposto lo sgombero di un accampamento realizzato abusivamente sulle rive del fiume Crati e di un’immobile di proprietà di Rete ferroviaria italiana dove, come si evince dalla deliberazione “ erano stati collocati provvisoriamente altri nuclei rom per un incendio verificatosi nell’anzidetta baraccopoli”.  Effettuato lo sgombero, il comune ha predisposto una struttura temporanea nella quale ha dato ospitalità agli “sfollati”. Un provvedimento già di per sé singolare dal momento che, in un Paese normale, chi viola la legge dovrebbe incorrere nei rigori della sanzione e non nei benefici del welfare. Nel caso in questione, la legge è abbastanza chiara. L’articolo 633 del codice penale, prescrive, infatti, che  “Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032.”. Qualora qualcuno, indipendentemente dalla razza, dalla religione e da qualunque altra caratteristica personale o collettiva, dovesse, putacaso, occupare un immobile che non sia di sua proprietà, dovrebbe essere tempestivamente sottoposto al rispetto della legge. A ciò si aggiunga che, nell’eventualità in cui un comune cittadino realizzi un’opera abusiva, anche, su un terreno di sua proprietà deve provvedere alla rimozione della stessa. Nel caso d’inerzia, l’amministrazione pubblica interviene direttamente ed addebita le spese al trasgressore. Questo è ciò che dovrebbe avvenire in un Paese mediamente serio, dove le leggi hanno valore erga omnes. Ma l’Italia si sa è la patria del diritto e quindi dei sotterfugi, delle eccezioni e delle interpretazioni. Così, il Comune di Cosenza, anziché pretendere la punizione dei trasgressori, ha offerto un contributo economico a quanti decideranno di lasciare il “campo d’emergenza”. Una sorta di Tfr del valore di 600 euro “per ciascun nucleo familiare”, più altri 300 euro per ogni “membro del nucleo familiare, oltre il capo famiglia”. In totale, la previsione di spesa, che supera i 136 mila euro, è finalizzata a coprire i “primi costi” che i rom dovranno sostenere per trasferirsi “dal predetto campo di emergenza ad altre località del territorio nazionale od estero, nonché alla copertura dei primi costi per la detenzione di un alloggio nel territorio locale, nazionale od estero”. Il provvedimento è stato motivato, tra le altre cose, dalla presenza di “situazioni culturali che vanno dalla differenza dei costumi antropologici a quelle ideologiche-esistenziali e situazioni sociali [che] fanno sì che questi immigrati, non essendo ancora inseriti nel nuovo contesto ed avendo abbandonato le proprie origini, vivono molto ambiguamente tra l’essere attratti dalla cultura occidentale e dai suoi simboli e continuare ad essere legati alle modalità di vita del passato nomade”. Con tutta evidenza, la giunta di Cosenza ha deciso di applicare con chi risiede nel “campo” la tecnica diseducativa di quei genitori che al bambino che ha commesso una marachella dicono: “ti compro il gelato ma non lo fare più”. Proprio come in quel caso, nessuno è in grado di offrire la garanzia che l’episodio non si ripeta. Chi può, infatti, assicurare che, una volta intascata la “buonuscita”, i beneficiari non decidano di stabilirsi in una nuova baraccopoli, magari costruita, proprio, con i soldi ricevuti dal Comune? Senza tralasciare che il provvedimento manca di equità, a meno che un contributo analogo non sia stato concesso dal Comune ai cittadini, italiani e stranieri, costretti ad emigrare pur non avendone i mezzi. L’episodio più che paradossale è assurdo, anche, per ragioni meno contingenti. In un tempo in cui la povertà dilaga e le famiglie, italiane e straniere, sono alle prese con un difficilissima congiuntura economica, lo Stato, nelle sue varie accezioni dovrebbe farsi carico delle situazioni più difficili. Ogni intervento, destinato a chi vive in stato di bisogno dovrebbe, essere riservato esclusivamente a coloro i quali s’impegnano a osservare le regole. Sottostando all’imperio della legge, il cittadino dimostra il proprio rispetto nei confronti della comunità in cui vive e dalla quale, in virtù del principio di solidarietà, riceve l’aiuto di cui necessita. Si tratta di un’elementare regola di buon senso. Ma il buonsenso, ormai, da anni non ha più diritto di cittadinanza in Italia.

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