Il significato del Capodanno e l'usanza serrese della "Strina"

Carols Nikiforos Nytras: Canti di Natale Carols Nikiforos Nytras: Canti di Natale

Non c’è essere umano che non si aspetti che il nuovo anno sia migliore del vecchio. Non è un caso che la notte di San Silvestro venga generalmente accompagnata da fuochi d’artificio, botti e tappi di spumante, con i quali, icasticamente, si scaccia il vecchio anno e si saluta il nuovo.

Non è un caso, neppure, che l’ultimo giorno dell’anno sia dedicato proprio a San Silvestro, ovvero al papa sotto il quale l’Impero romano da pagano divenne cristiano.

Uno spazio temporale, quindi, in cui i diversi simboli richiamano l’idea di transizione. Del resto, anche, dal punto di vista astrologico, il passaggio da uno stato ad un altro, inizia il 21 dicembre con il solstizio d’inverno cui, segue, il 25 la nascita del nuovo sole. Un giorno speciale, dedicato alla “Festa del sole”, che, ricorda Cattabiani, “ era diventata il culto più importante di Roma verso la fine del III secolo per l’influenza delle tradizioni orientali. L’imperatore Aureliano, originario della Dacia Ripensis e figlio di una sacerdotessa del sole, istituì addirittura il culto statale del Comes Sol Invictus, la cui festa, il dies Natalis Solis Invicti, divenne il centro della liturgia imperiale”.

Nessuna sorpresa, quindi, se il nuovo anno inizia sempre con l’attesa per la fine del vecchio. Una constatazione, colta con raffinata intelligenza da Leopardi che, in una delle “Operette morali”, “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere”, scrive: " […] il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice […]".

Il bene, però, non arriva mai da solo, bisogna propiziarlo. Così, ad esempio, fino a qualche decennio addietro, a Serra San Bruno, la mattina del primo giorno dell’anno, muniti di “gurzidhu”, un sacchetto legato al collo, i bambini, andavano a casa dei parenti per il “rito”   “ di la strina”. Giunti a destinazione, i pargoli recitavano la tradizionale formula: "Buon giornu e buon annu, facitimi di strina ch’é di capudanno e tant’ uoru mu vi trasa l’annu". L’auspicio era, immancabilmente, accompagnato da un dono in denaro infilato nel “gurzidhu”.

Un dono destinato a svanire subito. Nel corso della notte, a cavallo tra il primo ed il secondo giorno dell'anno, la “strina” veniva, generalmente, portata via dalla “juovina”, una vecchia megera che, sottraendo il contenuto del “gurzidhu”, puniva i bambini per le loro malefatte.

Il “rito” della “strina”, con tutta evidenza, aveva un forte significato morale. Come nell’opera di Leopardi, si lasciava intendere che, alla speranza che accompagna l’attesa, segue, immancabilmente, la delusione. Attesa e delusione, quindi, sono facce di una stessa medaglia. Una medaglia che sembra racchiudere in sé tutti gli elementi dell’infelicità dell’uomo che, come ricordava Machiavelli, “disprezza il presente, rimpiange il passato e spera nel futuro”.

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