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Enza Bruno Bossio (Pd): "Comune unico della Presila apripista per riforma sistema istituzionale calabrese"

Riceviamo e pubblichiamo

"L’esito del referendum che ha sancito l’unificazione dei comuni presilani è una manifestazione di forte maturità delle popolazioni per un obiettivo di riforma del sistema istituzionale e di semplificazione amministrativa.

Accorpamento e fusione non significano annullare ma esaltare e rendere protagoniste le storiche identità territoriali.

La difesa tout-court dell’esistente genera depauperamento delle funzioni amministrative, della qualità dei servizi e impoverimento dei singoli territori.

La scelta espressa dalla maggioranza della popolazione presilana va interpretata nel segno della provocazione che ho inteso avanzare quando ho apposto la mia firma al DDL Lodolini per l’accorpamento dei comuni sotto i 5000 abitanti.

Un processo che non può essere affidato a spinte spontaneiste ma va sostenuto anche con forme di premialità per gli insediamenti umani nei territori periferici e dei piccoli centri.

Premialità che lo stato potrà garantire, oltre che con le norme vigenti, anche l’istituzione del reddito di inserimento prefigurato dal DDL Mura che abbiamo presentato in parlamento proprio per sostenere il ripopolamento dei piccoli comuni.

Non c’è dubbio che un processo di questo tipo deve partire dal basso e decisiva dovrà essere l’autodeterminazione delle amministrazioni e delle popolazioni.

Il referendum dei comuni presilani può, dunque, essere un apripista ed un momento di riferimento per i movimenti che da tempo, si vanno sviluppando nella Sibaritide e nell’area urbana cosentina.

Non v’è dubbio che le due nuove grandi città che potrebbero nascere dalla fusione dei comuni di Rossano e Corigliano da una parte e Cosenza, Rende e Castrolibero dall’altro costituirebbero un fattore di forte attrattività e di nuove potenzialità per l’intero sistema istituzionale regionale calabrese.

A simboleggiare la unità fisica della Grande Cosenza sarà la metroleggera per l’Università, per la nuova città dello Ionio sono strategici gli investimenti già programmati dalla Regione Calabria per l’infrastrutturazione, per i servizi e per la promozione di un vero e proprio sviluppo integrato.

On. Enza Bruno Bossio - Deputata Pd

 

Unione Comuni Ricadi e Capo Vaticano: Mirabello illustra la sua proposta di legge

"La mia proposta di legge che è stata discussa oggi in prima Commissione -  afferma il consigliere Michele Mirabello a conclusione dei lavori - si pone come obiettivo l'unificazione anche identitaria del territorio calabrese di Ricadi con Capo Vaticano, centro turistico di rilevante importanza a livello internazionale. Da moltissimi anni, Capo Vaticano, che vanta una storia antica, si è posto all'attenzione dei grandi flussi turistici per le sue particolari bellezze marine e, oltre a costituire un elemento storico di notevole interesse, contribuisce allo sviluppo economico, turistico e culturale del Comune stesso. Visto che la Costituzione Italiana, all'art. 133 comma 2, recita: "La Regione, sentite le popolazioni interessate può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni", e la legge regionale della Calabria n. 13/83 all'art. 40 prevede la variazione della denominazione dei comuni, che consiste nel mutamento parziale o totale della precedente denominazione, appare, opportuno, mutare la denominazione del comune di Ricadi in comune Ricadi - Capo Vaticano determinando così il completamento di un processo che va a riconoscere l'identità di  Ricadi legata geograficamente al promontorio di Capo Vaticano, incrementando l'importanza delle potenzialità economiche presenti in questo territorio a vantaggio di tutte le attività turistico-economiche legate alla storia e alle tradizioni del luogo. Data l’importanza della questione che investe profili sia istituzionali che sociali – ha detto ancora Mirabello – è stato concordato un programma di audizioni con gli stakeholders operanti sul territorio interessato con l’obiettivo di far confluire una comune azione unitaria sulla proposta di legge che, per i motivi che ho esposto in premessa, aprirà certamente una nuova serie di opportunità di sviluppo per tutta l’area dei due comuni, incrementando le occasioni di crescita".  

Fusioni e Unioni di Comuni, parte l’iter per l’approvazione della proposta di legge regionale

Lo scopo è quello di provvedere al riordino delle funzioni amministrative regionali, degli Enti di Area Vasta e della Città Metropolitana di Reggio Calabria, ma c’è anche la disciplina delle forme associative delle Unioni di Comuni e delle Fusioni. La proposta di legge n. 28/10 di iniziativa del consigliere regionale Orlandino Greco, che se approvata apporterebbe delle modifiche e delle integrazioni alla legge regionale n. 34/2002, mira alla semplificazione e alla razionalizzazione delle procedure, evitando lo “spezzettamento” delle competenze, e riafferma la supremazia per la Regione della funzione legislativa, di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo. In particolare, è l’articolo 6, che riportiamo testualmente, ad essere significativo per gli Enti che sono più vicini ai cittadini: “Fino all'approvazione degli ambiti territoriali adeguati ed omogenei, con le modalità e i tempi dettati dal successivo Art. 7, i comuni calabresi possono associarsi in unioni di comuni senza vincoli predeterminati riferiti a numero minimo di abitanti, di comuni o di funzioni.  La Regione promuove e favorisce, ove ne ricorrano le condizioni, la creazione di nuove entità territoriali derivanti da processi di fusione o incorporazione. La legge regionale istitutiva del nuovo comune dovrà assicurare la salvaguardia dei singoli territori da cui ha origine il nuovo ente, con la previsione obbligatoria di municipi, anche a garanzia della più ampia partecipazione democratica.  Sia nei processi di costituzione di unioni di comuni che nelle fusioni la Regione assicura supporto formativo e tecnico-operativo per fornire assistenza giuridico-progettuale e formazione qualificata ad amministratori e dipendenti degli enti locali coinvolti, oltre a garantire un affiancamento mediante incentivi economici per spese di esercizio e/o in conto capitale nella definizione del patto di stabilità interno verticale, ai sensi dell’Art. 1 comma 131 della Legge n. 56/2014. I comuni che intendono avviare un processo associativo di unione o una fusione, per beneficiare degli incentivi economici da parte della Regione, devono documentare mediante un adeguato studio di fattibilità i vantaggi attesi nel medio periodo (min 3 — max 5 anni) e certificare per ogni anno di gestione i risultati conseguiti. Con la presente legge viene resa obbligatoria, per tutti gli atti della Regione, la previsione di riconoscimenti premiali nella gestione dei Fondi Europei e degli stessi finanziamenti regionali sia in favore delle unioni di comuni che delle fusioni”. Mercoledì parte l’iter di approvazione con le audizioni del presidente Upi, del presidente Anci e del coordinatore dei Piccoli Comuni Anci nella I Commissione regionale, presieduta da Franco Sergio. Nella stessa seduta ci sarà la discussione concernente le proposte di legge n. 80/X e 67/X di iniziativa della giunta regionale recanti rispettivamente “Differimento dei termini di conclusione delle procedure di liquidazione o di accorpamento di persone giuridiche, pubbliche o private, previsti da disposizioni di leggi regionali” e “Modifiche alla legge regionale 18 dicembre 2013, n. 54 (Accelerazione della definizione dei procedimenti legislativi”, oltre al dibattito sulla proposta di legge n. 62/X di iniziativa del consigliere Giuseppe Graziano recante “Disciplina sulla trasparenza dell’attività politica e amministrativa della Regione Calabria e dei suoi enti strumentali e sull’attività di rappresentanza degli interessi particolari”.

Unione di Comuni, i dubbi della Corte dei Conti

Le 309 Unioni di Comuni realizzare finora avrebbero causato un aggravio di costi anziché dei risparmi. Lo riporta l’edizione odierna di “Panorama” richiamando la “Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali 2013” della Corte dei Conti, che definisce tale strumento un “poco efficace metodo di razionalizzazione della spesa”. Per la testata diretta da Giorgio Mulè, le Unioni, originate con il decreto legge 78/2010 posto in essere al  fine di aggregare i Comuni con popolazione inferiore ai 5mila abitanti e poi regolate con la legge 5/2014,  si sarebbero rivelate un “mezzo flop”. A marzo il ministero degli Affari regionali aveva stanziato 5 milioni per incentivare queste operazioni che trovano anche finanziamenti regionali. Tuttavia, l’Anci continua a incoraggiare le Unioni e le Fusioni riconoscendo che i risparmi saranno riscontrati con il passare del tempo. Uno studio del Sole 24 Ore del luglio 2011, sempre in riferimento alle Unioni, aveva inoltre sottolineato, in aggiunta all’esigenza del contenimento della spesa, “il dovere di adattare la dimensione istituzionale ai cambiamenti di carattere regolamentare, con i maggiori poteri conferiti ai Comuni dal federalismo fiscale”, “la necessità di tener conto dei cambiamenti demografici con lo spostamento della popolazione dalle campagne alle città, dalle valli alle pianure, dal sud verso il nord” e “l’oggettiva difficoltà da parte dei piccoli Comuni di fornire ai cittadini tutti i servizi di cui hanno non solo bisogno, ma diritto”.

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Fusione/Unione nelle Serre, partono gli incontri con i cittadini

SERRA SAN BRUNO - Mancava solo il delegato del Comune di Simbario all’incontro svoltosi ieri presso il palazzo municipale di piazza Carmelo Tucci per discutere della possibilità di “fondere” o “unire” i centri delle Serre. I rappresentanti di Serra San Bruno (Bruno Rosi), Mongiana (Bruno Iorfida), Spadola (Nicola Valelà) e Brognaturo (Giuseppe Iennarella), secondo quanto riferito dagli stessi a margine della riunione, hanno deciso di programmare una serie di iniziative – promosse dalla Pro loco serrese che ha preso parte alla discussione e che avrà anche il compito di coinvolgere le diverse associazioni del territorio - aperti alla cittadinanza e agli esperti in materia al fine di approfondire la questione e di comprendere gli orientamenti della popolazione. Sostanzialmente, non è stata ancora scelta una strada precisa, ma si è voluto fare il punto della situazione sondando le disponibilità. Resta comunque probabile che gli amministratori puntino sull’Unione (ed in questo caso dovrebbe essere allargato il perimetro territoriale) poiché l’assenza di Ovidio Romano e la posizione di Giuseppe Barbara, che contattato telefonicamente ha categoricamente escluso l’ipotesi Fusione, sembrano indicare un pensiero abbastanza chiaro. Resta ottimista Rosi che ha valutato “positivamente l’esito dell’incontro” e che è convinto di portare avanti un progetto che possa ottimizzare l’impiego delle risorse e migliorare l’efficienza dei servizi.

Serre, l’Unione è lo scenario più praticabile

Il dibattito è stato ampio e continuerà ancora. Alcuni dati, però, sono già emersi e bisogna prenderne atto. Occorre ammetterlo, capirlo e andare avanti sui cammini che sono realmente percorribili, rinviando al futuro i progetti più ambiziosi. Innanzitutto, gli “steccati” che sembrano ostacolare la Fusione fra i Comuni di Serra San Bruno, Spadola, Brognaturo, Simbario e Mongiana non sono di carattere politico in senso stretto, sono di carattere culturale. Anzi, sono un fatto di mentalità. La classe dirigente che governa questi centri non è pronta a costituire un unico Comune: forse si ha timore di perdere spazi di manovra o forse si ha paura che le popolazioni non gradiscano un piano che è comunque allo stato embrionale. Eppure sarebbe semplice superare questa perplessità; basterebbe approfondire pubblicamente la questione, informare le imprese, i lavoratori e  le loro famiglie, chiedere a quei cittadini che spesso dimostrano una maturità superiore rispetto a chi li guida. Nessun “dietro le quinte”, tutto con la massima trasparenza. Soprattutto si deve guardare oltre, comprendendo che nella società moderna non si può rimanere attaccati a vecchie idee e non si può essere “concorrenziali”  cristallizzandosi  in ambiti che – pur con altre problematiche e in un contesto diverso - in  una metropoli corrispondono ad un singolo condominio. L’idea di Bruno Rosi di convocare i sindaci non è da gettare alle ortiche, piuttosto serve a rompere il ghiaccio e ad avviare un confronto ravvicinato. Probabilmente sarà utile a chiarire anche vecchie incomprensioni e ad aprire un vero dialogo istituzionale di cui, francamente, si fa fatica a trovare le tracce negli ultimi anni. E questo è stato uno sbaglio dei vertici politici ed amministrativi delle Serre. I capi degli esecutivi devono ora mettere da parte le contorte strategie solitamente presenti nel comprensorio montano e trovare punti condivisi. L’Unione può essere una soluzione, si può partire dall’organizzazione dei servizi e verificare sul campo i primi benefici.

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Uncem Calabria: “Fusioni e Unioni di Comuni sono percorsi non più rinviabili”

C’è una voce autorevole che si leva per suggerire un cammino ambizioso, per invitare la classe dirigente a guardare al futuro, per spiegare tecnicamente che esiste un’opportunità che non va sprecata. È quella del presidente dell’Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) Calabria e sindaco di Petronà Vincenzo Mazzei che ritiene essenziale una mentalità lungimirante per garantire migliori condizioni di vita alle generazioni del domani. “Comunemente – afferma - si pensa che l’eccesso di frammentazione sia un problema dei piccoli Comuni, dei cosiddetti Comuni ‘polvere’, che non raggiungono la dimensione sufficiente per lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo, scontando dunque un peso eccessivo dei costi fissi di funzionamento sui loro bilanci. Sicuramente ciò rappresenta una parte importante del problema – aggiunge - ma non l’unica sua manifestazione”. Nello specifico, “nel caso dei Comuni di piccola taglia demografica i costi derivano sicuramente da un deficit di dimensione che impedisce la minimizzazione dei costi di funzionamento (costi espliciti), ma indebolisce anche la capacità di rispondere al fabbisogno di famiglie e imprese data la povertà di risorse finanziarie e competenze professionali disponibili (costi impliciti)”. Ad avviso di Mazzei, dunque, “il principale problema dei piccoli Comuni è dato dal fatto che impongono costi di gestione elevati a fronte di ambiti di decisione politica estremamente ristretti e di una possibilità di risposta al fabbisogno molto bassa; di fatto gli amministratori dei piccoli Comuni sono semplici gestori del poco esistente, mentre gli operatori comunali sono dipendenti ‘tuttofare’ a bassa specializzazione. Non di rado, pertanto, gli Enti sono costretti a cercare all’esterno le competenze di cui hanno bisogno per la gestione delle funzioni di cui sono titolari, imponendo alla collettività un ulteriore aggravio di costi”. È una descrizione lucida quella del presidente dell’Uncem Calabria che sostiene la sua tesi con cognizione di causa e che precisa che “le difficoltà gestionali degli Enti sottodimensionati sono ben note a studiosi, legislatori e amministratori, tanto è vero che nel corso del tempo sono stati adottati numerosi strumenti correttivi per avvicinare la dimensione degli ambiti produttivi a quella minima efficiente: basti pensare alla creazione di società ad hoc per la gestione dei servizi a rilevanza industriale in cui sono necessari grandi investimenti infrastrutturali, alla crescente separazione tra responsabilità di gestione e di produzione con l’affidamento esterno di quest’ultima, come pure alla promozione di varie forme di cooperazione interistituzionale (consorzi, convenzioni, unioni)”. Elementi concreti sono portati a sostegno di un’idea che si fa strada e che mette in luce ciò che è all’origine dei disagi attuali. Ed è partendo dalla “numerosità dei correttivi adottati” che Mazzei arriva ad una riflessione: “un aspetto meno noto della frammentazione istituzionale è che essa impone costi rilevanti anche alle aree urbane, tipicamente territori molto popolosi, ma funzionalmente integrati, in cui i confini amministrativi vanno a ‘tagliare’ realtà economiche e sociali unitarie. In questo caso non esiste un problema di mancato sfruttamento di economie di scala e di scopo, quanto piuttosto problemi di inutile duplicazione della spesa per il funzionamento degli apparati politici e burocratici (costi espliciti), di mancata corrispondenza tra finanziatori ed utilizzatori dei servizi e dunque di esternalità che creano un problema di equità nella distribuzione di costi e benefici, come pure nell’accesso ai servizi (costi espliciti), ma soprattutto un problema di mancato salto di scala delle funzioni svolte (costi impliciti). Quest’ultimo – puntualizza - è certamente l’aspetto più deleterio da considerare, perché implica una rinuncia a livelli più elevati di sviluppo socio-economico, per il semplice motivo che la somma di più Comuni non fa una città con lo stesso numero di abitanti in termini di investimenti in infrastrutture di comunicazione e trasporto, dotazione di servizi a contenuto scientifico e culturale, visibilità sul piano nazionale e internazionale. In questo caso, la frammentazione istituzionale non impedisce lo sfruttamento delle economie di scala per i servizi tradizionali, ma tiene artificialmente basso il numero dei cittadini e degli operatori economici serviti, impedendo di fatto l’attivazione dei servizi più innovativi, a più elevata specializzazione o che richiedono grossi investimenti infrastrutturali, imponendo agli utenti, da un lato, inutili costi di duplicazione degli stessi servizi di base e, dall’altro, il costo della mancata innovazione”. Conseguente è la deduzione secondo cui “il difetto maggiore dell’assenza di un governo unitario consiste in questo caso nella rinuncia a sviluppare i servizi tipici delle grandi aree urbane, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta sullo sviluppo economico dei sistemi regionali e nazionali di appartenenza e sul posizionamento nella competizione nazionale e internazionale”. Mazzei chiarisce quindi che le criticità sono diverse nelle due fattispecie e specifica che “nel caso dei piccoli Comuni si ha un problema di sottodimensionamento assoluto e di diseconomie di scala, in quello dei Comuni di medie dimensioni un problema di sottodimensionamento relativo, di equità e di scelte strategiche. Se i Comuni eccessivamente piccoli – completa il discorso Mazzei - uniscono elevati costi fissi a bassa offerta di servizi, povertà delle risorse umane e delle competenze e scarso potere decisionale degli amministratori locali, determinando una perdita di benessere per la popolazione insediata ben visibile e dunque misurabile, la frammentazione istituzionale delle grandi aree urbane rischia di produrre danni più rilevanti per la competitività dell’intero sistema economico calabrese e per la sua capacità di rinnovarsi nel tempo”. Rilevato che “non c’è più tempo da perdere”, il presidente dell’Uncem Calabria asserisce che “occorre un immediato confronto fra la Regione e le rappresentanze del mondo delle Autonomie locali, per la definizione di un percorso condiviso, che incentivi la Fusione dei Comuni e la nascita di Unioni. Tutto ciò – conclude - non per mortificare nessuno, ma semplicemente per adeguare il nostro sistema di governo locale, alle nuove sfide che ci attendono”.

Comuni,Pisani (Pd): "No alla fusione, ben venga l'unione"

Riceviamo e pubblichiamo

"Da qualche giorno si fa un gran parlare sulla possibilità che Serra possa avviare con altri paesi limitrofi un discorso di fusione. Un argomento di cui si è sentito parlare in passato e che ora torna di nuovo di moda a seguito della mozione presentata dal sindaco di Torre di Ruggiero  per la fusione con i comuni di Chiaravalle Centrale e Cardinale. A quanto pare, questo è un discorso però che è destinato a morire sul nascere perché è a mio avviso sbagliata è la strada intrapresa. Incontri, accordi, consensi politici ma mai nessuno che si interessi di cosa effettivamente vuole la gente; quella gente a cui ci si rivolge però quando c’è bisogno del voto. Spesso si parla di fusione solo per sentito parlare ma basta usare un vocabolario per capirne il significato. Fusione di due o più comuni significa fondere, accorpare due o più comuni contigui. Significa quindi chiudere un comune con la sua storia e le sue tradizioni e a mio avviso sarebbe difficile ottenere il consenso degli amministrati. Un municipio, per quanto piccolo sia, con il proprio sindaco e consiglio, rappresenta comunque un presidio reale del territorio; a ciò si aggiunge il fatto che, se chiudi dovrai dedicare la tua attività amministrativa ad una porzione di terreno molto più ampia che in molti casi sarà destinata al totale abbandono creando a sua volta emergenze e dinnanzi alle emergenze lo Sato andrà a spendere di più. L’associazionismo ben venga! Ma credo che l’unico strumento attuabile nel nostro entroterra è l’Unione Comunale e non la fusione. Con l’Unione i comuni possono associarsi senza mettere in discussione la loro esistenza ed identità. L’Unione dei comuni è un ente locale, al pari del Comune, Provincia costituito da due o più comuni di norma confinanti, finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi. Inoltre grazie alla Legge Napolitano-Vigneri (256/1999) non sussiste più il vincolo dell’obbligatorietà della fusione dopo 10 anni di unione e in linea con quanto previsto dalla normativa in tema di spending review, gli organi dell’Unione (Presidente, Giunta e Consiglio) sono formati da amministratori in carica dei Comuni associati. Quindi si parla di un Ente a costo zero. Alle unioni competono gli introiti derivanti da tasse, tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati ed inoltre vi sono finanziamenti che tendono a favorire tale forma associativa che vanno ad incrementarsi all’aumentare del numero di cittadini e dei comuni che si uniscono . L’Unione ha molti punti di forza: basti pensare alla maggiore specializzazione delle risorse umane a disposizione, uniformità dei procedimenti amministrativi e tanto altro. Occorre, prima di fantasticare su una fusione, discutere con tutte le forze politiche presenti sul territorio e soprattutto con la gente, quella gente a cui si è fatto riferimento solo quando è servita una x su una scheda elettorale".

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