“Dal Sebèto al Faro”, Cesare Malpica e la scoperta della Calabria

Troppo intenti a coltivare la passione esterofila, il più delle volte, nel richiamare le avventure di viaggiatori in Calabria, ci si limita a citare le considerazioni, non sempre indulgenti, dei “turisti” anglofoni o francofoni dell’Ottocento. Poco importa, poi, se il loro giudizio sugli italiani in generale sia tutt’altro che benevolo ed obiettivo. Come evidenzia l’anglista Andrea Cane nel suo saggio “Scoperta d’Italia”, non pochi scrittori inglesi descrivono gli italiani come "sporchi, indolenti, criminosi". Ancor più tranciante, poi, il giudizio sui calabresi e la Calabria. Famoso il commento del francese Creuze de Lesser, nel suo, “Voyage en Italie” nel quale annota: " L’Europe finit à Naples et meme elle y finiz assez mal. La Calabre, la Sicilie, tout le rest est de l’Afrique". Nonostante, tali pregiudizi, però, capita spesso di sentir citare, attraverso la letteratura specialistica, soltanto gli innumerevoli luoghi comuni con i quali è stata descritta la Calabria. In questa sorta di ansia di apparire peggio di come siamo e di come eravamo, si dimentica o si disconosce un’opera che descrive un’altra Calabria. Una “guida”, forse la prima della nostra regione, nella quale viene tratteggiata un’altra verità ed un’altra dimensione. A scriverla, la penna versatile e prolifica di un giovane rampollo “napoletano”, figlio di un ufficiale borbonico, nato a Catanzaro, Cesare Malpica che, nel 1844, intraprende un viaggio, descritto, l’anno successivo, in volume, pubblicato a Napoli, con il titolo “Dal Sebèto al Faro”. Un titolo che è un compendio dell’itinerario seguito nel corso del viaggio. Il Sebèto era, infatti, l’antico fiume che solcava la capitale partenopea, mentre, il Faro, era quello distrutto dal terremoto del 1908 che rappresentava la linea di demarcazione tra i territori del regno di Napoli. Prima della partenza, amici e conoscenti tentano di dissuaderlo, ripetendogli con insistenza che ad attenderlo avrebbe trovato: "monti orribili, strade impraticabili, masnadieri feroci paesi desolati". Una descrizione tratteggiata da chi in Calabria non c’era mai stato: "Ella v’andò – chiede Malpica – Io le veggo col pensiero quelle terre – è la risposta". Nonostante i racconti che fanno pensare ad una realtà selvaggia e mal sicura, Malpica s’imbarca sull’ “Ercolano”, un battello a vapore che lo condurrà in Calabria. Già la prima impressione, fuga i dubbi e smentisce le tetre previsioni degli amici. Nel corso del viaggio, visita Cosenza, città dai "pittoreschi casali" e Catanzaro, con il "magnifico" Duomo. Lungo la strada che conduce a Monteleone, l’attuale Vibo Valentia, s’imbatte, invece, in una scena che tratteggia in un pittoresco quadro di costume: "veggo giungere un carro […]. Sotto la tenda mollemente adagiati sovra cuscini seggono tre donne, un uomo e un fanciullo. Vengono dietro due asini con casse e materassi. Li guida un piccolo atleta, co’ sandali, colle brache nere a mezza gamba, col petto nudo, colle gote abbronzite, colle labbra sorridenti: un picciol tipo di forza, e d’intelligenza. Si fermano, scendono, tuffono nell’acqua il viso e le mani. Vi gettano dentro un mellone e quando è rinfrescato sel mangiano accompagnandovi del biscotto". A Monteleone viene colpito dalle «strade ampie e dritte» e dagli "edifizi nobilissimi". A Rosarno sente i racconti sui briganti e sul «terribile» Bizzarro, mentre, lungo il percorso che lo conduce a Reggio scrive, "è tutto un giardino, di aranci, di cedri, di bergamotti, di gelsi, di palme, di fichi, di viti e di ricini". Il lungo viaggio termina in riva allo Stretto, nella Reggio definita la "bellissima". La Calabria di Malpica appare, decisamente, diversa da quella descritta da molti autori abituati a viaggiare "come un baule, senz’ aver osservato e capito alcunché". Una Calabria dai "tramonti di fuoco", segnata da: "natura ubertosa e […] da un panorama giammai monotono». In altri termine, una regione che, ieri come oggi, non può essere descritta da "una classe di gente che fingendo d’aver veduto ciò che non vide vi da con viso imperturbato i suoi sogni come storia vera: ve n’ha un’altra che ripete ciecamente ciò che gli altri dice".                                                                                                                                                          

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