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Antonio Jerocades, l'abate massone nato a Parghelia

Dopo Francesco De Luca da Cardinale (per leggere l'articolo clicca qui), continuiamo la nostra veloce carrellata attraverso i personaggi che hanno reso grande la Calabria per studi e operosità, seppur in ambiti diversi e schieramento politico diverso. Questa è la volta di Antonio Jerocades, abate massone e fondatore della prima loggia calabrese, nativo di Parghelia, piccolo borgo a quattro passi da Tropea. È figura, questa, che rimane ancora avvolta nell’incertezza e nell’oblio, seppure negli ultimi anni sono stati avviati studi per miglior conoscenza. E ciò ha avuto il suo incipit da una delle tante opere del Jerocades, La lira focense,  ristampata e approfondita da indagini e incontri di studio per la particolarità che la contraddistingue. Il poemetto, infatti, è ritenuto “un vero e proprio massimario massonico”, tanto da indurre uno studioso del ‘700 a dire che il nostro calabrese “coi soavi metri di piacevole poesia, esponendo sotto il velo del mistero le idee che non poteasi apertamente altrui comunicare, era volto a meglio imprimerle nella mente degli iniziati, ad accrescere il numero dei proseliti, eccitando la voglia di comprenderle”. Certamente al Jerocades non fu agevole il vivere, perché, “famigerato Jerocades”, “poeta della massoneria”, fu vittima di ostracismo e persecuzione e le sue opere, non tutte, per la verità, foriere di idee massoniche, dovettero subire l’onta, per così dire, dell’indice. Jerocades nacque nel 1738 a Parghelia e i suoi studi si svolsero nel seminario di Tropea dove si facevano largo le idee illuministiche e liberali di Giovanni Andrea Serrao, altro grande massone calabrese di Filadelfia. Successivamente tramite i fratelli Grimaldi entrò in contatto con Antonio Genovesi, ritenuto maestro ideale. E comunque riuscì a divenire sacerdote nel 1759, svolgendo i suoi primi anni di apostolato a Parghelia e Tropea per poi pervenire a Napoli e quindi a Sora (Frosinone) dove avviò la sua vocazione di insegnante in quel collegio e dove, tra l’altro, nel 1770 compose il Pulcinella fatto quacchero. Che non era questa, per niente, una farsa carnevalesca, ansi qualcosa di più chè gli procurò il primo processo da parte delle autorità ecclesiastiche che ne vedevano una critica allo strapotere della chiesa. Dalla cittadina frusinate a Marsiglia dove  lavoravano numerosi mercanti tropeani e tramite questi riuscì a mettersi in contatto con logge massoniche. E ancora a Napoli dove ebbe proficue frequentazioni con l’intellighenzia e l’elite partenopea e con essa diffondere le idee massoniche. Qui, nel 1792, si accompagnò all’ammiraglio La Touche-Trèville intenzionato a mettere su un sodalizio che comprendesse tutte le diverse anime illuministico – rivoluzionarie del Sud. Progetto esauritosi quasi al nascere perché scoperto l’obiettivo il Jerocades fu arrestato, quindi privato dell’insegnamento, processato e condannato ed esiliato nel convento dei Padri Giurani presso San Pietro a Cesarano. Più avanti fu liberato e nel 1799 prese parte attiva alla rivoluzione partenopea, inutilmente, giacchè caduto il sogno repubblicano, fu arrestato ancora e nel 1800 esiliato dal Regno. Erano gli ultimi anni della sua vita e, dopo un breve soggiorno da esule a Marsiglia, ritornò a casa, nella sua Parghelia, dove trovò la morte il 9 novembre 1803. Scriveva Carlo Carlino che quella del Jerocades “fu una vita intensa, vissuta con il convincimento  che ‘in un popolo oscuro non si può far dimora, se prima non si mandi come ‘nunzia la cultura’, la sola che illumina l’esistenza dell’uomo consentendogli di vivere secondo un ‘catechismo civile e cristiano’”. E l’essenza della vita e della pedagogia del massone calabrese la si ricava con forte intensità nella sua opera maggiore, il Saggio sull’Umano Sapere ed uso de’ giovanetti di Paralia, edita a Napoli nel 1768 e mai più riedita, quella opera che il Genovesi ritenne di “molta erudizione”. Testo che per il Carlino “riafferma la pluralità dei saperi e la diversità degli strumenti didattici da applicare contro la conoscenza astratta che impedirebbe di ricercare la ‘molteplicità delle vie della verità’. “ E comunque ai giorni nostri Jerocades non è stato di sicuro dimenticato se si pensa che gli è stato dedicato, nel 1986, nel suo borgo natio, il convegno Antonio Jerocades nella cultura del Settecento e i cui atti sono stati pubblicati da Falzea con l’introduzione di Luigi Lombardi Satriani che auspica l’urgenza di avviare “un’opera di collocazione critica” e di riabilitazione. In fondo per Jerocades “ il viver di preda e di rapina è vita da belva; il viver di fatica e d’industria è il vivere umano.”

 

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