Cosenza e il tesoro di Alarico

La memoria di Alarico è ciclica: passano decenni, e non se lo fila nessuno, poi tutti a parlare di lui come fosse un caro cugino o un ex compagno di scuola. Lo storico Jordanes, che forse dipende da Cassiodoro, narra di lui che saccheggiò Roma, ma senza offesa delle persone e dei luoghi sacri; e proseguì, saccheggiando ancora, fino ai Bruzi, l’attuale Calabria, con l’intento di passare in Africa. Una tempesta causò gravi danni alle sue navi, convincendolo a tornare indietro. Giunto a Cosenza, morì improvvisamente. I Goti, presi da gravissimo dolore, lo seppellirono con barbarica solennità: deviato il Busento, fecero scavare una grande fossa, seppellendovi il re con molti tesori. Usarono gli schiavi italiani, che subito uccisero perché si conservasse il segreto. Questo narra Jordanes. Per leggere con opportuno spirito critico il testo, occorrono alcune conoscenze che, da quello che sento in tv, non mi paiono proprio molto diffuse. Le esequie dei re e degli eroi sono, presso i popoli arcaici e barbari, particolarmente spettacolari e tragiche: e uso quest’ultima parola anche con riferimento al teatro greco. L’antichità ci ha lasciato più tombe che case: le piramidi, la tomba di Atreo, il Mausoleo di Alicarnasso… E fino agli editti napoleonici, applicati di fatto un secolo dopo, si seppelliva in chiesa, spesso con monumenti assai elaborati. Alcuni popoli barbari praticavano sacrifici umani, a volte volontari, per accompagnare la morte del re.  Lo stesso Achille sgozza dodici giovani troiani sulla pira di Patroclo; e sulla tomba di Caio Mario vennero uccisi dei senatori romani. Non è dunque strano che i Goti abbiano celebrato il funerale di Alarico con qualcosa di così violento e solenne. Sarebbe strano e incredibile il contrario, se si fossero adattati a seppellirlo come un morto qualunque. Chi, con illuministica supponenza, parla di “leggenda” non conosce il Vico né l’etnologia e l’antropologia. Alarico non era solo il re, era quello che aveva reso i Goti un’entità politica; che li aveva condotti in tutta Europa, in un magnifico continuo duello contro il grande Stilicone; e l’immagine di giovane guerriero era stata coronata dalla poetica contraddittoria vicenda d’amore per Galla Placidia, che poi regnerà sui Visigoti di Spagna e nuovamente sui Romani. Erano, i barbari, in grado di deviare un fiume? Lo fecero, nove secoli prima esatti, i Crotoniati contro Sibari! Scavarono i Persiani l’Athos… Dovevano solo fermare la corrente quanto bastava per scavare la fossa, i Goti. E, precisa Jordanes, avevano tante braccia a disposizione! Avevano tesori a iosa, anche per ornare la salma. L’inventario non ci è pervenuto, perciò non possiamo sapere, come invece ci viene ammannito per sicuro, se c’erano anche oggetti presi a Gerusalemme 340 anni prima, o in qualsiasi altro posto saccheggiato dai Romani a partire da Alba Longa. Non creiamo, questa volta è il caso di dirlo, facili leggende. Aspettiamo, se ci sarà, l’esito delle ricerche. Intanto la storia di Alarico potrebbe servire ad attirare l’attenzione sulla storia calabrese, di solito rigorosamente ignorata, e su quella di Cosenza in specie. Pensate a un film fatto come si deve; a del teatro degno di questo nome. Una curiosità: Cosenza porta male ai suoi conquistatori. Alessandro Molosso, zio del Magno, venne sconfitto e ucciso sull’Acheronte; Sesto Pompeo finì sconfitto da Ottaviano; Ibrahim, che aveva sconfitto gli ultimi bizantini a Taormina, morì nel 903 alle porte della città; Cola Tosto, ribelle a Ferrante I, fu messo atrocemente a morte. Andò meglio a Fabrizio Ruffo e poi a Garibaldi, che però passarono quasi dritti verso Napoli.

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