Caporalato in Calabria: sequestrata una masseria, denunciate tre persone

A conclusione di un’intensa attività d’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Palmi, gli uomini della 2^ Sezione della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria, unitamente al personale del Commissariato di Gioia Tauro, hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo, emesso dal gip presso il Tribunale di Palmi, di una masseria ubicata in contrada San Fili, a Melicucco (RC), all’interno della quale erano alloggiati numerosi cittadini extracomunitari di origine africana in condizioni igienico-sanitarie precarie.

Le indagini hanno preso il via nell’ambito dei consueti controlli interforze disposti dal questore di Reggio Calabria finalizzati a prevenire e reprimere il dilagante fenomeno dello sfruttamento della manodopera straniera nei campi, particolarmente diffuso nella Piana di Gioia Tauro.

L’attività investigativa -condotta con pazienti servizi di osservazione e pedinamento, nonché con l’ausilio di strumenti tecnici di intercettazione -, iniziata nel mese di novembre dello scorso anno, ha fatto emergere, in maniera chiara, la centralità strategica della struttura posta sotto sequestro, risultata di proprietà di V.F., 81 anni, nella quale decine di extracomunitari di origine africana, in condizioni di assoluto disagio, degrado e di igiene precaria, dimoravano in attesa di essere “collocati” al lavoro, in condizioni di sfruttamento, da un imprenditore agricolo locale, V.F., di 35 anni, il quale poteva contare su un suo fedelissimo caporale, K.S., di 54 anni, del Burkina Faso, che aveva il compito di trasportare, alle prime ore del mattino, la manodopera sui campi a bordo di un furgone, per poi ricondurla all’interno della masseria nel tardo pomeriggio.

In particolare, gli stranieri, tutti privi di mezzi di sostentamento, giunti in Italia con sbarchi umanitari, prevalentemente regolari sul territorio nazionale, venivano fatti alloggiare all’interno della masseria in due stanzoni, illuminati con lampadine collegate a fili elettrici volanti, al cui interno erano ammassate brandine e materassi; disponevano di servizi igienici comuni all’aperto collocati nelle immediate vicinanze di un fienile con maiali e galline; si servivano di un garage adibito a cucina, dove si districavano tra bombole di gas e fornelli, con seri rischi anche per la propria incolumità.

Le condizioni igienico-sanitarie riscontrate hanno indotto i poliziotti a chiedere l’intervento dell’Asp di Reggio Calabria.

Per gli investigatori, il caporale del Burkina Faso che dimorava nella masseria, ma in una stanza autonoma insieme alla moglie, poteva reclutare prontamente, su richiesta giornaliera del datore di lavoro, il numero di operai necessari.

Nella struttura in cui sono stati apposti i sigilli sono stati trovati 4 stranieri (tre del Mali e uno del Burkina Faso) che sono stati ospitati presso la nuova tendopoli di San Ferdinando.

Il proprietario della masseria sequestrata, il titolare dell’azienda agricola e il cittadino del Burkina Faso sono stati denunciati a piede libero.

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Caporalato e lavoro nero, denunce e sanzioni

I militari hanno, inoltre individuato dieci lavoratori in nero e 6 irregolari (di cui 1 straniero sprovvisto di permesso di soggiorno) intenti a lavorare presso alcune strutture turistiche.

Due lavoratori irregolari sono risultati percettori di reddito di cittadinanza e quindi segnalati all’autorità giudiziaria.

In particolare, uno dei percettori di reddito di cittadinanza lavorava in un lido balneare come guardiano notturno, mentre l’altro presso un esercizio di generi alimentari.

I titolari delle attività commerciali sottoposte a controllo sono stati sanzionati con multe pari a 19.800 euro, per l’impiego dei lavoratori in nero. 

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Controllo anticaporalato, sanzionate tre aziende

Durante un controllo anticaporalato condotto nella Piana di Gioia Tauro e lungo la fascia jonica reggina, tre aziende agricole sono state sanzionate per aver impiegato otto lavoratori, italiani ed extracomunitari, senza alcun regolare contratto.

In particolari, ai titolari delle aziende sono state elevate sanzioni amministrative per un importo complessivo superiore a 90 mila euro.

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Caporalato, denunciate 18 persone

Diciotto persone sono state denunciate dalla guardia di finanza di Montegiordano (Cs), con l'accusa di caporalato e immigrazione clandestina.

Identificate, inoltre, 56 persone reclutate in violazione dei contratti nazionali e provinciali del comparto agricoltura.

Durante un servizio di controllo a Roseto Capo Spulico (Cs), le fiamme gialle hanno sottoposto a fermo – tra gli altri – sette furgoni in cui erano stipati in condizioni degradanti, cinquantasei braccianti agricoli di nazionalità pakistana, nigeriana, bulgara e romena, provenienti dalle campagne lucane dove avevano prestato la propria manodopera presso alcune aziende.

I braccianti sono stati quindi accompagnati presso gli uffici della Tenenza, per essere identificati ed escussi a sommarie informazioni, anche con l’ausilio di interpreti.

Sulla base delle dichiarazioni fornite e della documentazione rinvenuta a bordo dei mezzi, è emerso che i lavoratori erano stati reclutati in violazione dei contratti nazionali e provinciali del comparto agricoltura ed impiegati presso le aziennde agricole, percependo paghe nettamente inferiori a quanto stabilito dalle norme contrattuali.

Dopo aver accertato l’identità di tutti i braccianti fermati, è emerso che sette di loro erano in possesso di permesso di soggiorno scaduto e privi di richiesta di rinnovo.

Al termibe del controllo sono stati deferiti, a piede libero, alla Procura della Repubblica di Castrovillari, 11 presunti “caporali” (tra cui i tre titolari delle aziende lucane) in concorso tra loro, per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, per il quale rischiano la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a  mille euro per ciascun lavoratore reclutato.

Sette braccianti irregolari sono stati, invece, segnalati alla Procura della Repubblica per violazioni al testo unico sull’immigrazione.

Venti euro per nove ore di lavoro nei campi, imprenditore agricolo finisce in manette

Lavoratori extracomunitari richiedenti asilo politico ed ospiti nel territorio di Roggiano Gravina (Cs), sottoposti a turni di 9 ore e pagati giornalmente 20 euro, senza alcun rispetto delle norme di sicurezza ed in assenza di regolare contratto.

È quanto hanno scoperto i carabinieri della locale Stazione che, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa dal gip presso il Tribunale di Cosenza, hanno arrestato un imprenditore agricolo, A.L., di 44 anni, accusato d'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Cosenza, sono state avviate dai militari in seguito a segnalazioni inerenti la presunta presenza di un “caporale” che impiegava nel proprio fondo agricolo lavoratori stranieri, approfittando dello stato di bisogno in cui versavano, per sottoporli a condizioni di illecito sfruttamento senza neppure un contratto d'assunzione.

Partendo da tali elementi, i carabiniei hanno effettuato una serie di servizi d'osservazione in alcuni terreni ubicati nel comune di San Marco Argentano che, in un arco temporale compreso tra il mese di settembre dello scorso anno ed agosto 2018, hanno consentito di dare un nome ed un volto al presunto “caporale”, il quale, quotidianamente, avrebbe prelevato diversi extracomunitari da un Centro d'accoglienza straordinaria di Roggiano Gravina, per condurli in un fondo agricolo di San Marco Argentano, dove venivano impiegati in qualità di braccianti per la raccolta di ortaggi.

Attraverso videoriprese, gli uomini dell'Arma sono riusciti a documentare le pesanti giornate lavorative cui sarebbero stati sottoposti i cittadini extracomunitari.

Prelevati all’alba, intorno alle ore 5.00, da un furgone condotto dall’imprenditore, i braccianti affluivano sui terreni coltivati ad ortaggi dove prestavano la loro attività lavorativa ininterrottamente per almeno a 9 ore.

Le condizioni di lavoro imposte dal “padrone”, in palese difformità con le minimali regole dei contratti collettivi nazionali, contemplavano soltanto una pausa di appena 30 minuti (nel caso gli immigrati avessero voluto consumare cibi portati al seguito), senza mettere a disposizione degli “sfruttati” acqua per rifocillarsi ed in assenza di luoghi idonei per ripararsi dal caldo o per soddisfare le esigenze fisiologiche.

A fronte di tali condizioni di lavoro, la retribuzione concordata sarebbe stata di appena 20 euro giornaliere.

I carabinieri avrebbero ricostruito, inoltre, il tentativo di deviare il corso delle indagini da parte dell’arrestato, il quale, in diversi approcci con gli extracomunitari, avrebbe provato a condizionarne i racconti al fine di alleggerire le proprie responsabilità.

 

Operazione contro il caporalato: denunciate 7 persone, catturato un ricercato

Sette persone denunciate, di cui una in stato d'arresto. Questo il bilancio di un'operazione condotta dai finanzieri della Tenenza di Montegiordano, contro il fenomeno del “caporalato” e dell’impiego di mano d’opera irregolare nella piana di Sibari.

In particolare, i militari hanno fermato sulla Statale 106 Jonica, nel in territorio di Roseto Capo Spulico, un furgone con a bordo un cittadino italiano e numerosi extracomunitari, molti dei quali privi di documenti di riconoscimento, che si apprestavano a raggiungere le campagne lucane per una giornata lavorativa.

I braccianti agricoli e l’italiano titolare di un’azienda agricola, sono stati quindi condotti in caserma per essere identificati.

Sulla base delle dichiarazioni rilasciate e della documentazione rinvenuta all’interno del mezzo, sono stati individuati 10 lavoratori “in nero”, che sarebbero stari sfruttati dai titolari di due aziende agricole, i quali avrebbero corrisposto una retribuzione pari ad un euro per ogni cassetta di mandarini raccolta.

Al termine delle operazioni, le fiamme gialle hanno denunciato 3 persone, due italiani titolari di aziende agricole ed una donna di nazionalità romena, in concorso tra loro, per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

I tre rischiano la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato e la reclusione da uno a cinque anni e la multa di 15 mila euro per favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

Tre degli extracomunitari sono stati, inoltre, denunciati a piede libero alla Procura della Repubblica di Castrovillari, in quanto privi di permesso di soggiorno e rischiano un’ammenda da 5 mila a 10 mila euro ciascuno.

Nel corso del controllo è, inoltre, emerso che un altro extracomunitario, di nazionalità algerina, il quale tra l’altro aveva fornito false generalità, era gravato da un provvedimento di cattura e ricercato dallo scorso anno per reati in materia di immigrazione clandestina, contro la persona ed il patrimonio.

L'uomo è stato, quindi, arrestato e dopo le formalità di rito, associato alla casa circondariale di Castrovillari, a disposizione dell’Autorità giudiziaria.

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Caporalato, Ferrara, Menichino e Sicoli (M5s): “Il business sui migranti non arretra, lo dimostrano gli odierni arresti avvenuti ad Amantea”

«Il business sui migranti non arretra e lo dimostrano gli odierni arresti avvenuti ad Amantea che hanno portato alla luce l’ennesimo caso di caporalato e sfruttamento dei migranti ospitati nei centri d’accoglienza».

È quanto dichiarano Laura Ferrara, eurodeputata del MoVimento 5 Stelle, Francesca Menichino e Francesca Sicoli consiglieri M5S nel Comune di Amantea, a seguito degli arresti e delle misure cautelari eseguite nelle scorse ore ad Amantea in un’operazione condotta dai carabinieri della cittadina tirrenica. 

«Dalle notizie emerse, i migranti venivano prelevati in prossimità del centro di accoglienza “Ninfa Marina” e sfruttati per lavorare nei campi con una paga “differenziata”: 25 euro al giorno i neri e 35 i bianchi. L'era dello schiavismo non è finita e le criticità che appaiono emergere oggi dalle indagini – continuano Ferrara e Menichino – le avevamo già segnalate in un’apposita relazione/esposto inviato alla Procura di Paola nell’aprile del 2016».

Continua la Ferrara: « Da tempo denuncio la scarsa trasparenza e la mancanza di controllo nella gestione dei migranti e dei Centri di Accoglienza. Anche nei mesi scorsi, a seguito di una mia ispezione a Spezzano della Sila segnalavo alla Prefettura di Cosenza le stesse criticità.»

«Lucrare sulla pelle e la dignità di queste persone, con l’aggravante della discriminazione razziale, - concludono le tre esponenti del M5S - è intollerabile. Si intensifichino i controlli ed il monitoraggio dei vari centri di accoglienza al fine di contrastare al meglio la dura piaga del caporalato».

 

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Caporalato in Calabria: sfruttavano gli ospiti di un centro d'accoglienza, arrestati

I carabinieri della Compagnia di Paola hanno eseguito un’operazione di contrasto allo sfruttamento dei rifugiati ospitati nei centri di accoglienza, culminata nell’esecuzione di 2 misure cautelari agli arresti domiciliari a carico di due fratelli di Amantea, di 48 e 41 anni, accusati d'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravati dalla discriminante razziale.

Il provvedimento, disposto dal gip presso il Tribunale di Paola, Maria Grazia Elia, su richiesta della locale Procura, è stato accompagnato, inoltre, dal sequestro preventivo dell’azienda e di altri beni mobili di proprietà degli arrestati.

Le indagini, condotte dai militari della Stazione di Amantea, sono partite nel giugno scorso.

Gli elementi raccolti hanno permesso di accertare che i rifugiati, principalmente provenienti dal Nigeria, Gambia, Senegal e Guinea Bissau, venivano solitamente prelevati in prossimità del centro di accoglienza “Ninfa Marina” e portati a lavorare presso l’azienda agricola dei due arrestati.

I rifugiati africani lavoravano nei campi assieme ad altri lavoratori in nero, provenienti principalmente da Romania e India, ma, incredibilmente, la paga variava in base al colore della pelle.

In particolare, i “bianchi” avevano diritto a 35 euro al giorno, a fronte dei 25 euro ricevuti dagli africani.

Le indagini hanno fatto emergere anche le condizioni di lavoro degradanti a cui erano sottoposti i lavoratori, costretti a dormire in baracche e mangiare a terra.

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