Serra, la discussa vicenda della “barba di San Gianni”

Ha destato non poco clamore il ripristino delle antiche teste, con tanto di parrucche, dei simulacri dei Santi Giovanni e Maria Maddalena, la sera del Mercoledì Santo da poco trascorso. Clamore che nel giro di poche ore ha convinto il Seggio Priorale a tornare sui propri passi e ricollocare le teste con le quali generazioni di serresi conoscono “San Gianni e la Matalena”. Non una prima volta per l’Arciconfraternita dei Sette Dolori, capofila nelle celebrazioni pasquali di Serra, che già nel 1961 si trovò a vivere un episodio analogo, che vide come protagonista gli stessi santi e le stesse teste. Bisogna in primis precisare che i simulacri dell’Evangelista e dell’adultera convertita non sono delle vere e proprie statue, ma dei fantocci rivestiti e che mostrano in legno e cartapesta solo le mani, i piedi e appunto la testa. Si tratta quindi di parti removibili che, dopo i riti della Settimana Santa, vengono reposti in un armadio. Lo stesso valeva per le teste dotate di parrucche, che però si scoprì un anno essere origine di pidocchi. Fu quella la ragione per cui si decise di adottare delle nuove teste, prive di parrucche, che vennero commissionate nella capitale italiana della statuaria in cartapesta, Lecce, dalla quale provengono altre statue venerate a Serra: San Girolamo e i Santi Medici. Quando, però, agli inizi degli anni ’60, le teste giunsero a Serra e la sera del Mercoledì Santo si stava per uscire con la processione, il San Giovanni barbuto destò un forte chiasso tra i fedeli: troppo simile al Cristo e soprattutto troppo giovane Giovanni per avere una barba così folta. I santi vennero come di consueto collocati nel cancello del Crocefisso nella Chiesa Matrice. Quella cappella divenne per tutta la giornata successiva il laboratorio nel quale il compianto Giuseppe Maria Pisani, durante la notte e armato di sgorbia, procedeva a rimuovere la barba al San Giovanni. La sollevazione dei fedeli fu dunque placata dal grande artista che Serra ha da poco perso ma che vive ancora nei ricordi di chi, come Enzo Vavalà, custodisce i segreti antichi delle nostre confraternite.  

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