Bruno Maria Tedeschi, il vescovo che riportò i certosini a Serra

 Serra vanta una lunga tradizione di uomini fede. Tra i tantissimi sacerdoti che la cittadina fondata da san Bruno ha donato alla Chiesa, ben cinque ( per leggerne i nomi clicca qui)  sono assurti al rango di vescovi. Del primo, Domenico Antonio Peronaci, vescovo di Umbriatico dal 17 novembre 1732 al il 5 febbraio 1775, ce ne siamo occupati qui. Dopo la morte di Peronaci, Serra dovette  aspettare il novembre del 1834 prima che un altro suo figlio, Bruno Maria Tedeschi, assumesse la guida di un’importante diocesi come quella di Rossano. Come riportato nella “Platea”, la  cronistoria redatta da i cappellani della chiesa Matrice di cui Tedeschi era stato per lungo tempo arciprete, si trattò di una nomina del tutto “inaspettata” anche perché “non era uomo di rapporti”. La carenza di una rete di buone relazioni fu però compensata dalla grande “dottrina”. “Cultore appassionato delle lingue classiche predicatore e conferenziere acclamato e richiesto perfino dalla accademie napoletane si distingueva particolarmente come studioso di questioni teologiche. Capace di sostenere lunghi ed eleganti conversazioni anche in latino e in ebraico dava immediata all’interlocutore la misura del proprio sapere, unito  ad una assai intensa spiritualità”. Tutte doti che indussero papa Gregorio XVI a nominarlo arcivescovo di Rossano. Preso possesso della sua diocesi il 30 aprile, Tedeschi si segnalò fin da subito per lo spiccato dinamismo e per la determinazione con la quale cercò di riformare i rilassati costumi dei suoi nuovi fedeli. Consapevole che il migliore insegnamento si trasmette con l’esempio, pensò fosse necessario formare una nuova generazione di sacerdoti più attenti alla vita spirituale che a quella materiale. Ad offrirgli l’opportunità di mettere in pratica la sue idee, fu un evento nefasto, il terremoto del 1836 che danneggiò pesantemente l’episcopio. In quell’occasione mise in moto la macchina della ricostruzione che portò, tra le altre cose, all’edificazione di un seminario con lo “scopo di evitare che durante le vacanze i seminaristi, soggiornando in famiglia, si allontanassero dall’ambiente nel quale dovevano formarsi”. Lo zelo con cui attese al suo ufficio, non lo distrasse del tutto dalle vicende che riguardavano il suo paese natale. La sua attenzione fu rivolta in via prioritaria alla riapertura della Certosa, chiusa dopo il terremoto del 1873. A tale scopo avviò una lunga opera “diplomatica” che produsse gli effetti sperati. Come riportato da Taccone e Gallucci nelle Memorie storiche della Certosa de’ Santi Stefano e Brunone in Calabria “l’ egregio Arcivescovo accompagnò egli stesso in Serra il P.D. Paolo m. Gerard, Priore della Certosa di S. M. degli Angeli in Roma e Procuratore Generale dell’Ordine, nonché i suoi compagni Fr. Domenico Terzuoli e Fr. Alessio Moschettini. Qual delegato Pontificio per Regio, diede il Tedeschi ai 29 marzo 1840 solenne e legale possesso della Certosa di S. Stefano, con grande consolazione generale approvazione”. Fu una delle sue ultime visite a Serra, tre anni dopo, il 19 gennaio 1843, nel corso di un viaggio, intrapreso per raggiungere Napoli, venne colpito da “idropisia toracica”, ovvero un accumulo di liquidi a livello polmonare, mentre si trovava a Salerno. I suoi resti mortali vennero deposti nella cappella delle Reliquie del duomo di san Matteo, il Santo patrono della città campana. Dieci anni dopo, nel 1853, un suo illustre estimatore, il conte archeologo Vito Capialbi, dettò e fece deporre una lapide con il seguente epitaffio: “ Alla memoria di Bruno Maria Tedeschi, arcivescovo di Rossano, illustrissimo per eloquenza e scritti, caro a tutti per virtù e cortesia, che mentre intendeva andare a Napoli morì a Salerno 14 giorni prima delle Calende di febbraio  1843. Visse anni 63 mesi 9 giorni 14. Il conte Vito Capialbi cavaliere di San Gregorio Magno e San Luigi, cubiculario di SS papa Pio IX, affinché il sepolcro dell’amico benemerito non cadesse privo del titolo nell’anno della Beata Salvezza 1853".

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